È con il cuore carico di soddisfazione che in questa domenica di fine inverno pensiamo alla bella giornata di ieri, a come la sinergia di ragionamenti, sigle e contenuti diversi abbia saputo intrecciare un discorso ampio che vada aldilà della sommatoria delle sue parti.
La grandissima partecipazione popolare, vera e genuina, che si è vista per le strade di Roma, ha caratterizzato un corteo capace di andare aldilà della compartimentazione a ranghi identitari serrati, mostrando vincente il tentativo di chi in queste settimane ha cercato contemporaneamente di tessere tra loro percorsi differenti e di aprirsi al sentire comune dei cittadini della capitale. Un corteo quindi la cui stessa composizione ha saputo ribadire forte e chiaro quello che era il messaggio da lanciare a tutti i Mattei nazionali: i problemi delle fasce popolari della società, attaccate dalla crisi e da chi l’amministra, trovano soluzione solo unendo i piani del conflitto e delle rivendicazioni che attraversano le nostre città.
Allo stesso tempo, a Milano il sindacalismo di base ha mostrato ancora una volta di avere le carte in regola e la credibilità per candidarsi ad essere la soggettività agglutinante, quella senza la quale è ad oggi impossibile costruire alcun progetto di “coalizione sociale” che non sia il rimpasto già visto di soggetti privi del coraggio di lasciarsi alle spalle una storia fatta di tatticismi e cerchiobottismo. Un’originalità tutta positiva, quella della piazza milanese di ieri, evidente per esempio a partire dalla capacità di dare per la prima volta respiro nazionale alle lotte che ci stanno accompagnando verso l’apertura dell’Expo, finora purtroppo recluse nello stretto ambito delle dinamiche di movimento della città lombarda. Un’originalità evidente inoltre dalla capacità di sfidare Lega e fascisti nel cuore politico del loro bacino di consenso, quella città nella quale non più tardi dell’autunno scorso la destra reazionaria si era chiamata a raccolta dimostrando una rinnovata forza di mobilitazione di piazza.
Ed è proprio la calata che ieri la destra nazionale ha tentato di fare su Roma (tentativo riuscito a metà nei numeri di piazza ma comunque politicamente significativo sulla maleodorante strada imboccata) che ha imposto ai vari nodi della campagna Noi Restiamo di convergere sulla capitale in sostegno dei tantissimi compagni romani mobilitatisi per l’occasione. Un dovere politico al quale non ci siamo potuti sottrarre, in coerenza con l’analisi e la presenza che ormai da tempo cerchiamo di portare ogni volta in cui crediamo che l’antifascismo abbia la possibilità di manifestarsi al di fuori delle mere autorappresentazioni e rievocazioni, ma piuttosto come carattere fondamentale di cui dovrà disporre quel soggetto politico di classe ancora terribilmente assente, quel soggetto di cui sentiamo estremo bisogno in una società sempre più escludente e che proprio del vaccino antifascista sembra voler fare colpevolmente a meno.
L’accordo tra le forze politiche razziste e reazionarie radunatesi ieri in piazza del Popolo è un ulteriore campanello d’allarme da non sottovalutare. La dinamica messa in piedi negli ultimi tempi dalla Lega, si alimenta di una ritrovata linfa grazie al discorso politico conservatore e antipopolare legittimato definitivamente dal governo Renzi e dall’attacco frontale che viene condotto ormai spudoratamente dall’Unione Europea, e quindi dal Pd, contro i soggetti deboli di questa società e contro ogni forza organizzata che a suo modo tenti di frenarne l’onda d’urto. Enormi spazi si stanno aprendo a destra in conseguenza dell’operato dell’attuale classe dirigente, e della sua rappresentazione politica. Da un lato, le forme e i modi agiti dal Pd, che si candida ad essere Partito della Nazione, custode del “patto tra produttori”, del “superamento tra destra e sinistra”, sdoganano un vocabolario denso di contenuti reazionari. Dall’altro lato, questo stesso vocabolario viene allora fieramente rivendicato da soggetti dichiaratamente fascisti, i quali ne fanno strumento per raccogliere consenso proprio tra coloro che vengono esclusi dai nuovi processi di accumulazione di ricchezza dentro la crisi che si fa sistema nel contesto della competizione globale. Per chi ha una memoria più lunga dei titoli dei quotidiani, sarà apparso infatti lampante la somiglianza tra il comizio tenuto proprio ieri da Salvini sul palco romano e il vocabolario usato dal primo ministro e dal presidente della Confindustria alcuni mesi fa di fronte a una platea di industriali bresciani. A questo punto diventa facile per la Lega e l’estrema destra rilanciare l’accusa di “tradimento della patria e del suo popolo” proprio contro quello stesso governo che ha riesumato queste categorie per dichiararsene difensore. I processi produttivi sono molto più concentrati, aggressivi e meno includenti di quanto le società europee non si siano abituate a vedere durante l’epoca d’oro del fordismo keynesiano e dei suoi lunghi strascichi. Un intero ceto imprenditoriale nazionale sta venendo sempre più escluso dalla spartizione dello sfruttamento per fare posto alle multinazionali e a una borghesia di profilo europeo. Pertanto, vecchi e nuovi fascisti hanno gioco facile per sferrare il loro attacco, consapevoli delle tante difficoltà e delle lentezze che incontra il tentativo (assunto in Italia dal Pd) di rinsaldare gli interessi politici di una classe imprenditoriale di livello continentale.
Salvini, di fronte a una destra istituzionale impantanata nel tentativo di reinventarsi un ruolo oltre le larghe intese, nelle quali il Pd copre uno spazio sempre maggiore anche da solo, da tempo ormai sta spogliando il suo partito della facciata di presentabilità che si era dovuto dare quando concorreva alle formazioni di governo del passato. Sfodera così un nuovo slancio nella gestione del malumore diffuso in ampi strati di società, catalizzando intorno a sé le forze dichiaratamente fasciste, le proteste forcaiole e l’attenzione della destra populista attualmente indebolita, proponendo un’alleanza sociale e politica che risulterebbe fatale qualora dovesse dispiegare le sue reali possibilità nell’attuale contesto della crisi. Assistiamo insomma alla costruzione su larga scala di quella stessa architettura che ad esempio le intercettazioni di Carminati ci hanno insegnato a riconoscere nella sua versione miniaturizzata e caricaturale: la Lega non fa più mistero di voler gestire il “mondo di sopra” lasciando a Casapound e affini il ruolo di mazzieri nel “mondo di mezzo”.
Non aver paura di sporcarsi le mani affrontando i nodi politici della contemporaneità, riconoscere il ruolo dell’Unione Europea e dei suoi governi come soggetti politicamente caratterizzati per attaccare le fasce più deboli della società, costruire un’ipotesi credibile per uscire a sinistra da questa crisi che non vede la fine. E’ questo l’unico modo per contrastare realmente l’irresistibile ascesa che la propaganda reazionaria di vecchi e nuovi fascismi sta avendo anche tra settori di classe sempre più impauriti e lasciati a se stessi dal vuoto di un ceto politico di sinistra andato al macero. E’ questo il compito assunto ieri positivamente da tanti compagni romani, ai quali però speriamo si sappiano aggiungere in futuro anche tante e tanti da tutta la penisola: prossima occasione utile, l’ipotizzata visita di Marine Le Pen ad aprile?