Questo pomeriggio insieme ai compagni dell’USB abbiamo presidiato l’entrata della multiutility Hera in viale Berti Pichat in sostegno ai lavoratori che da almeno una decina di anni lavorano sopra una vera e propria bomba ecologica e in un ambiente già altamente inquinato e potenzialmente cancerogeno.
Le notizie pubblicate da Contropiano (dopo un’interpellanza proprio in quel consiglio regionale da cui ieri il presidente Errani ha annunciato le dimissioni per una vicenda di appalti, cooperative e fratelli) parlano di vasche piene di agenti chimici utilizzati in passato per pulire il carbone, la cui pericolosità è data dall’alta tossicità e volatilità, con incluso il rischio cancerogeno, di cui non sappiamo se siano state effettivamente bonificate, né quando né come: insomma, di cui non sappiamo praticamente niente, in quanto gli unici controlli effettuati sono stati quelli evidentemente non imparziali di Hera stessa.
È una storia già sentita molte volte: quella di un problema che viene trascinato tra aule di tribunale, cambi di giunta comunale e vendite a privati, senza cercare una effettiva soluzione, ma rimandando nel tempo il più possibile per passare la patata bollente a chiunque verrà dopo.
La nostra preoccupazione va però oltre a quella per i lavoratori attualmente occupati negli uffici in Berti Pichat e allo sconcerto di fronte agli studi promossi dalla multiutility per minimizzare il rischio di esposizione, che hanno già identificato uno studente «tipo» che potrebbe abitare nella zona per al massimo dieci mesi all’anno per dieci anni, prima dell’effettivo rischio di contrarre un tumore, purché pesi meno di 70 chili! Questo in previsione del progetto di studentato che il nuovo acquirente privato aveva già considerato di costruire all’interno di una vera e propria cittadella, fortemente voluta dalle diverse giunte comunali targate PD.
È nell’osservare ancora una volta questo intricato legame tra le istituzioni locali, il PD bolognese e regionale, la aziende partecipate e le imprese di costruzione, che al di sopra dell’attuale problema ecologico identifichiamo un problema maggiore e ben più grave che è di natura prettamente politica: lo sfruttamento e la precarizzazione totale delle nostre vite, che in nome del profitto non si fa scrupolo di lasciarci senza casa, senza lavoro e senza salute.
Noi Restiamo


Esprimiamo la nostra solidarietà al Barattolo di via del Borgo di San Pietro per il danneggiamento subito la notte del 28 giugno. È chiaro a tutti che il gesto non è stato solo un attacco di semplici vandali, ma data la particolarità del locale, un importante spazio LGBTQ, è riconducibile a un clima di intolleranza che sentiamo pericolosamente venire aumentando, aizzato dalla nascita di «comitati anti-degrado» e prontamente cavalcato da quelle organizzazioni che in questa città sopravvivono solo sventolando la bandiera del razzismo, dell’omofobia e, in generale, dell’odio per ogni forma di diversità, dalla Lega Nord a Forza Nuova. Anche questa volta notiamo come un gesto di questo tipo non desti l’attenzione dei giornali locali o la solidarietà delle istituzioni comunali o dei partiti «democratici», indignatissimi però quando ad andare in frantumi è la vetrina della sede di un gruppo dichiaratamente neo-fascista.
Il 28 giugno è arrivato, si è svolto ma non è finito davanti alla sede italiana della Commissione Europea. Abbiamo assistito anzi a una giornata capace di aprire una breccia, di rilanciare la centralità di un tema, quello del ruolo dell’Unione Europea come polo imperialista in via di definizione, che non può essere accantonato nelle lotte dei soggetti deboli che subiscono i costi di questo processo di convergenza politica tra le alte sfere della borghesia transnazionale.







