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CTRL+C CTRL+R: cosa significano i copia-incolla tra Corriere e Repubblica

corrubblicaIl simpatico doppio screen-shot in immagine mostra come Repubblica e Corriere scrivano interi paragrafi uguali in due articoli sul report olandese uscito oggi riguardo l’abbattimento del volo MH17, pubblicati rispettivamente senza firma e da «redazione online».
Sia il contenuto che la copiatura sono allarmanti. Chi sono quei «tutti» che sembrano guardare nella stessa direzione? Certo non i tecnici olandesi che hanno stilato il rapporto di oggi, che non guardano proprio in nessuna direzione né provano minimamente ad attribuire o togliere responsabilità a nessuna delle due parti in causa.
Sembra piuttosto che non è che ci sia una direzione in cui tutti sembrano guardare, ma piuttosto che ci sia una direzione verso cui tutti CI VOGLIONO fare guardare.
Non sappiamo se le redazioni delle due testate hanno le stesse intuizioni lessicali e regole di scrittura per cui il prodotto alla fine è standard, se scrivono in collaborazione, si copiano a vicenda, o se scrivono sotto dettatura.
Assumiamo realisticamente l’ipotesi meno peggiore, cioè che (almeno) una delle due redazioni sia pigra e copiona tanto da copiaincollare l’articolo dell’altra. In quanto non ci interessano i complotti, ma ci interessa capire.
Allora capiamo che, comunque, le due redazioni non si duplicano tanto i paragrafi dei fatti. Ci saremmo preoccupati meno, o diciamo in un altro modo, se avessero riportato identicamente ciò che effettivamente usciva dal report. Mentre invece le parti copiate sono quelle più vaghe, quelle delle opinioni, quelle delle non-fonti, quelle per cui non ci può essere nessun fact-checking. «Essi dicono, essi guardano», non sappiamo chi sono essi: i tecnici olandesi? i governi occidentali? la generale «l’opinione comune?» Se non c’è possibilità di confutazione non c’è un fatto, e se non è un fatto allora è un’opinione.

Allora sappiamo, e ne siamo ogni giorno più certi, che esiste una regia, che la libertà di informazione è solo un falso ideologico dietro la quale si celano i veri interessi, e l’interesse di questo momento è portarci in guerra contro la Russia, speculando sui morti civili del Donbass e su quelli del volo Malasyan Airline.

 

Riccardo Rinaldi per Noi Restiamo

Chi soffia sui venti di guerra

Sembra di essere tornati indietro di cento anni netti, quando le testate giornalistiche si facevano trombe di guerra al servizio di quella classe politica tutta -a parte qualche significativa scissione- che la guerra la voleva a tutti i costi.

Sembra di tornare a leggere le parole di D´Annunzio sulle colonne del Corriere della Sera, o quelle del giovane Mussolini sul suo nuovo Popolo d´Italia, finanziato direttamente dalla Francia.

Oggi come allora la classe politica tutta, e questa volta senza nessuna ribellione in vista, é pronta, vuole e desidera la guerra, e oggi come allora la stampa libera e democratica del nostro paese é pronta a farsi cassa di risonanza dell´interventismo del Pd, del dinamico duo Renzi&Mogherini, e della UE unita ancora nel mortale abbraccio della Nato con gli USA. Anche qui, senza che nessun fronte “neutralista” sembri possa esistere.

Non ci scandalizziamo ormai piú per niente, ma non per questo dobbiamo abituarci alle oscenitá militariste che escono ogni giorno dagli editoriali e dagli articoli di Repubblica e del Corriere che proprio come la propaganda del 1914 e del 1939 vogliono spingere l´opinione pubblica a supportare un intervento contro la Russia, proprio come ai bei tempi andati.

Affronteremo ora, brevemente, l´editoriale del 5.09.2014 di Ezio Mauro su la Repubblica. Basterebbe il titolo “L’Occidente da difendere“ a fare rizzare i capelli ai sinceri democratici e pacifisti, ovvero proprio quelli che nel 2001 e nel 2003 leggevano la Repubblica come ultima possibile resistenza pacifista “intellettuale” contro gli allora Bush e Berlusconi. Ma si vede che la guerra é bella o brutta a seconda di chi la combatte.

Questo Occidente da difendere fa inoltre riaffiorare alla memoria i peggiori teorici politici degli ultimi anni, la Fallaci in Italia, Huntington negli States, che –sempre al tempo- venivano accusati di essere in odore di fascismo, o quantomeno un tantino xenofobi e razzisti, proprio nel senso di porre la propria razza, anche se adesso si chiama “civilitá”, ed é quella occidentale, al di sopra delle altre.

Il nostro caro Ezio misura con inquietudine gli sconfinamenti di Putin, ma non il governo nazista di Kiev che bombarda la cittá, e che le sanzioni –guarda un po´, non abbiamo imparato proprio niente- non portano altro che un maggiore nazionalismo. Scopre lo spirito imperialista della Russia, ma non la pressione militare che la Nato ha strategicamente portato avanti negli ultimi anni assorbendo in sé i paesi confinanti. Per poi volare senza soluzione di continuitá ed atterrare placidamente sul Califfato Islamico, tracciando cosí un tracciato che unisce inseparabilmente uno Stato sovrano e un gruppo militare odiato da tutti e ponendo cosí un netto confine che distanzia Noi, l´Occidente e la civiltá, e gli Altri, il resto del mondo e la barbarie.

Ezio ne deduce che se due “parti del mondo” (!) designano l´Occidente come loro nemico, allora questo Occidente deve esistere, e deve esserne cosciente, e quindi difendersi combattendo il non-Occidente. La banalitá costruttivista di questa analisi é nauseante. La Russia non ha dichiarato nessuna guerra all´Occidente, ma sta agendo in maniera difensiva, per quanto violenta, all´espansionismo della Nato, che era una clausola piuttosto naturale in seguito al crollo dell´URSS. Il Califfato prima che all´Occidente sembra avere dichiarato guerra all´Islam stesso, entrando in conflitto contemporanemanete contro tutti gli Stati esistenti, tanto che in questo momento dobbiamo in qualche modo sostenere addirittura i nostri eterni nemici quali l´Iran, la Siria, e addirittura i Curdi.

Cosa dovremmo fare quindi? Dobbimo ridefinire l´Occidente “come un elemento della nostra identità culturale, istituzionale e politica”.

L´ultimo grande argomento del buon Ezio é la solita paternale contro la crisi e sul fatto che la democrazia deve tornare ad affermarsi con forza dentro i confini per rafforzare le istituzioni eccetera.  Ma quello che vuole dire veramente ha il vecchio sapore della democrazia esportata sulla punta delle baionette, un Occidente ricostruito a partire dalla sua base militare, lodando quindi il summit gallese della Nato ed esortandolo a fare di piú.

Non analizzeremo piú a fondo questo sgraziato peana, né vogliamo entrare nei suoi analoghi cantati dagli altri giornali.

Solo un paio di concetti é bene ribadire, che é la lezione che ci hanno fatto alle elementari sulla guerra, la piú semplice, e che viene troppo spesso dimenticata. Non esistono guerre di valori, ma solo guerre economiche; se il tuo paese vuole entrare in guerra ti mostrerá il tuo avversario come un mostro, lo disumanizzerá in modo che tu non abbia problemi poi ad ucciderlo.

Nel 1915 i mostri erano gli Austriaci, nel 1940 erano gli Inglesi, i Francesi e i Russi, nel 1943 si sono traformati in Tedeschi. Oggi i mostri sono di nuovo i Russi, e gli Islamici… Il ruolo di Ezio ­–il ruolo dei mezzi di disinformazione di massa- é ripetercelo finché non ce ne convinceremo e lo accetteremo senza problematizzare né fare domande, in modo che tutti sventolino la bandiera italiana quando entreremo in guerra, e che tutti gridino “cannoni” alle adunate di piazza.

Noi non ci faremo incantare. Essere pacifisti é un buon inizio, ma bisogna essere anitfascisti e antimperialisti sempre per capire chi conduce le guerre, perché, e dove.

Noi restiamo

La funzione de La Repubblica, un giornale che vuole essere “totale”

Nelle ultime settimane, è giunta la richiesta dall’Unione Europea di una ulteriore cessione di sovranità da parte degli stati agli organi dell’Unione stessa al fine di poter fare più in fretta e meglio le riforme strutturali. Tale richiesta, rivolta con formula ampia a tutti gli Stati dell’Unione (come si sgola a ripetere Renzi), ma fin troppo chiaramente, dato il contesto in cui è stata formulata, diretta in particolare all’Italia, rappresenta la semplice enunciazione in forma palese del piano politico perseguito e delle modalità della sua attuazione. È importante quindi continuare ad approfondire una visione di classe che sappia leggere questo piano ed individuarne gli agenti principali delegati a renderlo digeribile all’opinione pubblica, per poter immaginare una risposta all’altezza dell’attacco che stiamo subendo.

Ciò che qui ci interessa non è quindi proporre considerazioni generali sul ruolo dell’UE e sui suoi fini, ma un’analisi della funzione del quotidiano La Repubblica, che da anni è ormai lo strumento fondamentale di costruzione e diffusione della “weltanschauung” dominante. Recentemente anche su Contropiano si è evidenziata la pericolosità dei deliri proposti dai domenicali del suo fondatore, Eugenio Scalfari, e ad inizio estate diverse sono state le mobilitazioni che da Napoli a Bologna si sono mosse contro questa testata, ad evidenziare una presa di coscienza che lentamente ma con costanza si sta diffondendo a settori sempre più ampi. Troviamo assai riduttive quelle affermazioni che definiscono La Repubblica come “il giornale di Renzi”, “il giornale dei padroni”, “uno strumento di distrazione di massa” e via dicendo. La Repubblica è, certamente, tutto questo, ma è anche molto di più. Queste definizioni sono limitanti, e finiscono per minimizzare il ruolo del quotidiano, perché ne colgono solamente un aspetto particolare, e non riescono ad afferrarne la funzione generale. Se pensiamo alla Repubblica come il giornale di Renzi, collochiamo la sua “azione” solo nell’ultimo ristretto periodo temporale: essa operava invece anche prima, ed opererà anche dopo Renzi; sarebbe più corretto dire che essa è il giornale di ciò che Renzi rappresenta. Definirla solo come “il giornale dei padroni”, cosa che senz’altro è, ne appiattisce le specificità rispetto agli altri quotidiani (sono più o meno tutti giornali dei padroni). Attribuirle soltanto la funzione di distrazione, che sicuramente ha, rischia di lasciare in secondo piano la funzione costruttiva, altrettanto se non ancor più pericolosa.

Partendo dalla constatazione della potenza dell’informazione, e della sua assoluta essenzialità per un sistema di potere sempre più oligarchico ed inegualitario, potremmo dire, in senso ampio, che La Repubblica è il quotidiano che sostiene e giustifica il progetto politico dell’Unione Europea. Essa ne propone, mitizzandoli, sia gli assiomi economici (e circa questi esprime il massimo della propria potenza mistificatoria, superando di gran lunga il limite della decenza), sia i dogmi politici e culturali. La Repubblica non è solamente il vassallo del rappresentante del Potere di turno, essa ha e realizza un progetto che è complesso e “totale”, vuole toccare tutti gli aspetti della nuova coscienza “progressista”, forgiare coscienze amanti del politicamente corretto, della competitività, della produttività, della legalità, dello sviluppo, eccetera, eccetera, eccetera… ma andiamo con ordine.

L’universo valoriale che si cerca di introiettare è quello tipicamente liberal-liberista su cui si fonda l’UE, come emerge troppo chiaramente dai suoi trattati e dalle decisioni della Corte di Giustizia, parte integrante del diritto dell’Unione. Tra i diritti fondamentali e le libertà economiche, sono le seconde a prevalere sempre e comunque; il che potrebbe aprire il dibattito sul carattere conservatore e strumentale delle affermazioni dei diritti fondamentali, ma che qui non ci interessa. Ci limitiamo invece a segnalare una particolarità linguistica estremamente significativa: né la lingua francese, né l’inglese conoscono la distinzione tra liberalismo e liberismo; crediamo si possa dire che tale distinzione non c’è perché il profitto e le libertà economiche sono l’assoluto padrone dell’impianto ideologico, sono misura di tutto il resto; le altre libertà esistono e si esplicano solo in funzione delle prime.

Se partiamo da qui possiamo meglio comprendere sia l’avversione de La Repubblica per Berlusconi, specie nell’ultimo periodo del suo governo, sia il conseguente amore per Napolitano, Monti, Letta, Renzi e i prossimi a venire.
L’avversione per Silvio non si traduceva infatti in una critica serrata a quella “rivoluzione liberale” che egli affermava di voler fare, né, tanto meno, alla criminale legge Biagi (d’altronde sulla scia della legge Treu), o alla riforma Gelmini, che tanto piace agli atenei più competitivi. Essa si rivolgeva invece ai caratteri del personaggio che facevano riferimento ad un tipo di borghesia clientelar-mafiosa che non può sopravvivere all’interno del progetto di ristrutturazione dell’UE e del ruolo da assegnare all’Italia. Non che scompaiano le mafie, le tangenti e via dicendo (si vedano Tav, Mose, Expo…), semplicemente il rapporto del Potere con questi meccanismi deve essere diverso. Non a caso l’attacco costante e continuo a Berlusconi veniva portato con toni moraleggianti soprattutto sulla questione dello sfruttamento della prostituzione, e, da qui, il quotidiano voleva proporre un’istanza di “emancipazione femminile”. Di quelle belle parole contro le donne-oggetto, le donne-immagine e della loro strumentalità parlano chiaramente le pubblicità (che portano molti soldi a tutte le pubblicazioni del gruppo Rcs) che propongono la stessa immagine della donna a suo tempo criticata negli articoli, gli insulti maschilisti e non politici a Carfagna e Minetti, i servizi sul sedere di Kate Middleton, l’adorazione (si veda la palese incongruenza coi giudizi sulla Minetti) per le nuove vallette renziane, i continui servizi fotografici sulle sportive delle olimpiadi e dei mondiali (le giocatrici di pallamano della Croazia sono splendide…). Con le vallette renziane il modello delle ministre berlusconiane, intriso sicuramente di un maschilismo più volgare, non è stato abolito, ma semplicemente superato, senza che vi sia stato un cambio di rotta reale.
A tutto questo si aggiungano le continue sparate, ormai davvero farneticanti, di Scalfari, maschilista fino all’inverosimile, che vuole farsi portavoce del nuovo “femminismo”, che, a suo avviso, non rifiuta il ruolo familiare della donna o il suo servilismo nei confronti dell’uomo, e vuole invece solo la fantomatica “parità dei diritti”. Aggiungo soltanto che nei vari anni in cui le prime pagine del quotidiano erano occupate da attacchi a Berlusconi, l’unico articolo serio e feroce contro il sistema berlusconiano, che coglieva nella commistione tra privato e pubblico il vero nocciolo della questione, sia stato scritto da Zagrebelski. Risulta quindi ancora più evidente la mancanza di contenuti della campagna “Se non ora quando?”, che ripeteva solamente slogan antiberlusconiani senza cogliere assolutamente il punto nodale del problema.

Se questo era l’aspetto centrale della critica a Berlusconi, con le incongruenze evidenziate, se ne capisce la assoluta strumentalità e si comprende invece la attuale morbidezza del quotidiano verso il Cavaliere, ora che egli è, con i propri parlamentari, stampella fondamentale di tutti i governi che sono seguiti: ora che le redini sono saldamente tenute da Bruxelles, da dove vengono tutti i diktat politici, il Cavaliere non solo non deve più essere attaccato, ma è, obbligatoriamente, un soggetto politico con cui confrontarsi, a patto che aiuti a fare le riforme necessarie (il bravo lettore di Repubblica sa che le riforme strutturali rilanceranno il paese e lo faranno crescere, che poi gli studi economici smentiscano le teorie sugli effetti salvifici della “flessibilità” sul lavoro e tutto il resto non lo riguarda, nessuna di quelle parolacce giunge al suo orecchio).

Se questo è il ruolo del quotidiano, è facile allora comprendere lo smisurato amore per Napolitano; fin dall’inizio del suo mandato il Presidente della Repubblica è uscito dalle proprie prerogative istituzionali per rendere chiara e stabile la linea politica: quella dettata da Bruxelles. Mentre i governi sono instabili a causa delle varie tornate elettorali, che mostrano un paese incerto e confuso (e infatti si è deciso di smettere di farle, le elezioni), e dei tiramenti dei singoli parlamentari, che oltre agli interessi di Bruxelles sono molto affezionati ai propri, Napolitano rappresenta l’architrave del progetto politico e per questo va incensato e sostenuto in ogni modo; anche quando fa eliminare registrazioni scomodissime sulla trattativa stato-mafia, anche quando viola palesemente la Costituzione. Si rassegni chi pensava che le pratiche di Berlusconi fossero incostituzionali e per questo andassero contrastate: nel giro di pochissimo tempo la Costituzione è diventata obsoleta (anche se è piuttosto giovane, sarà l’età biologica…) e da cambiare ad ogni costo. Non si possono dunque che riservare applausi a questo Presidente, anche se pare che tra non troppo vorrà ritirarsi. Il solo pensiero del successore fa venire i brividi…
E così a seguire il sostegno a Monti (dipinto come un santo, sembrava splendesse di luce propria), Letta (minore, perché meno efficiente nell’attuazione dei diktat) e Renzi, amatissimo nonostante abbia moltissimo in comune con l’odiatissimo Berlusconi (tra cui una cena ad Arcore quando ancora vi avvenivano quelle cose terribili di cui, con gusto da voyeurs, ci informavano prontamente).

Il progetto non si limita però al sostegno pressoché incondizionato al presidente di turno, ma è anche un progetto di “costruzione” culturale. Per comprenderlo dobbiamo capire il soggetto-tipo a cui è indirizzato il quotidiano, che presenta già delle specificità proprie, sulle quali poi esso agirà come un tamburo martellante. Il soggetto di riferimento è quello che mediamente si autodefinisce liberal “di sinistra”, in piena linea con il pensiero mainstream, ma che non rinuncia ad alcuni elementi “progressisti”. Normalmente non si ritiene né razzista, né omofobo, né fascista, è contro la violenza, per il dialogo, per i diritti delle donne e i diritti civili, semi-pacifista. Su tutti questi attributi il quotidiano agisce creandone un’immagine surrettizia, come una patina dorata, introiettando al tempo stesso pensieri e modi di ragionare che, se analizzati, si rivelano essere tutto il contrario.
Ad esempio, se il quotidiano è apertamente contro gli insulti razzisti (ultimo caso: Tavecchio), al tempo stesso giustifica e considera come un dato di fatto assolutamente normale la presenza dei Cie, attaccando le manifestazioni di dissenso di coloro che vi si oppongono. Ancora, gli articoli di cronaca nera, nel caso in cui riguardino extra-comunitari, portano già nel titolo l’indicazione della nazionalità del terribile “criminale”, che fa così assurgere al rango di notizia degna di nota anche una semplice lite.
Ci si proclama per i diritti delle donne, interpretati però solo come un’esigenza di visibilità che si esplica nelle quote rosa e il desiderio di conformarsi agli standard di successo maschili (carriera dirigenziale, imprenditoriale…).
Si è contro l’omofobia, ma al tempo stesso non abbandona tutte le cautele dovute all’influenza del potere temporale del Vaticano.
Contro la violenza, ma solo se viene da pericolosi antagonisti o ultras, quando proviene dalle forze dell’ordine diviene gestione impeccabile della piazza.
Il dialogo e la libertà di pensiero sono tenuti in estrema considerazione, a patto però di pensarla come loro. Sono ammesse solo piccole varianti sul tema, la piena e totale condivisione dell’impianto ideologico è necessaria affinché si possa dialogare.
La guerra è una cosa brutta, ma che qualcuno contrasti gli interessi Occidentali è ancora peggio: sempre antifascisti, ma i nazisti ucraini piacciono moltissimo, i sionisti israeliani forse ancora di più.
Il Ventennio è stato un periodo orribile, ma anche i partigiani non scherzavano; e allora il quotidiano procede al completo sdoganamento dell’interpretazione fascista delle foibe e sostegno alla meravigliosa giornata che è stata dedicata a quei presunti martiri.
Si propongono, con un misto di invidia ed ammirazione da piccolo-borghese provinciale, i paesi del Nord-Europa come modelli di produttività e competitività, senza mai interrogarsi né su cosa sorregga le loro strutture produttive, né su quegli aspetti delle loro legislazioni che, invece, sono sempre al centro della discussione quando si parla delle norme italiane. Nessuno discute il fatto che la Bundesbank affermi che i salari (dei tedeschi, si badi bene) debbano essere alzati, o che Hollande abbia appena limitato i tirocini gratuiti o l’utilizzo del contratto di apprendistato. Da noi si incensano il decreto Poletti e lo Youth Guarantee… L’ammirazione per i paesi del Nord sembra allora essere riservata non al loro welfare-state, ma al fatto che il bunga-bunga altrove non sarebbe mai stato accettato (e che soddisfazione scoprire delle scappatelle notturne di Hollande, tra il romantico-decadente e il ridicolo!). La costruzione dell’immaginario atto a sostenere l’emigrazione dei giovani disoccupati italiani, che dovrebbero fuggire all’estero piuttosto che pretendere un cambio di rotta a casa propria, passa anche attraverso le pagine di questo giornale.
Interrompiamo qui la carrellata di esempi, anche se potremmo andare avanti ancora decine di pagine, perché ci sembra che già questi bastino ad affermare che La Repubblica riprende elementi culturali e politici tipici della “sinistra” per svuotarli completamente di senso, reinterpretandoli come stupide etichette sotto le quali invece si nascondono, neanche troppo bene, basi di pensiero reazionarie ed insopportabili.

Concludiamo riaffermando il ruolo strumentale del quotidiano rispetto al potere dominante, che deve essere individuato nelle mani di quella frazione di borghesia transnazionale che si sta consolidando coerentemente con le logiche politiche di Bruxelles. Questa funzione ci sembra emergere chiaramente da un’analisi delle parole d’ordine del quotidiano rafforzatesi negli ultimi anni del governo berlusconiano, ma che erano già presenti sin dagli albori della sua fondazione, come ben sanno i compagni che sostenevano le mobilitazioni della nuova sinistra in quegli anni. Tale ruolo non si esplica solo nel sostegno alle tesi economiche del blocco europeista, ma al tempo stesso si propone di riprendere e ribaltare elementi tipici della sinistra come l’antirazzismo, l’antifascismo, il femminismo etc. reinterpretandoli in chiave reazionaria e riaffermando i valori e gli atteggiamenti a cui questi invece si oppongono, creando così una corrente di pensiero “totale”.

Gherardo Leone per Noi Restiamo

Visita guidata a la Repubblica

IMG_0484Stamattina “visita guidata” alla sede bolognese de La Repubblica, nell’evento di apertura di una tre giorni cittadina lanciata nell’assemblea cittadina di mercoledì con le realtà bolognesi, in vista del vertice sulla disoccupazione giovanile che doveva tenersi l’11 luglio a Torino, giornata di lotta che doveva esser una delle prime giornate del Controsemestre Popolare che comincerà il 28 giugno con la manifestazione di Roma nella critica delle istituzioni europee e della presidenza europea del Governo Renzi.
Sono state distribuite delle finte pagine della testata, ma più sincere di quelle reali, e aperto uno striscione, a cui è seguita una severa discussione con la redazione presente in quel momento.
Riconosciamo ne la Repubblicalarep1 il principale organo di propaganda dell’attuale classe politica, che ha avuto la funzione negli ultimi quattro anni di convincere anche l’elettorato “più di sinistra” della necessità di ben tre governi di grande coalizione, tutti irrimediabilmente non eletti democraticamente, che nel falso nome del bene comune hanno imposto le politiche troikiste dell’Unione Europea di taglio del welfare state e di ulteriore precarizzazione del lavoro. La Repubblica non è un mezzo di informazione indipendente, ma è a tutti gli effetti un pieno responsabile del quadro politico attuale. Domani 24 giugno, giornata con tema “debito e banche” per continuare il 25 “piazza itinerante” contro jobs act, precarietà e speculazione urbana.
Rilanciamo poi il 28 giugno, ore 14 Piazza del Popolo, Roma. Apriamo il Controsemestre Popolare!