Recentemente è apparso sull’Internazionale un articolo [1] di Goffredo Fofi sull’ultimo film di Damien Chazelle, Whiplash, vincitore di ben tre premi Oscar quest’anno. L’articolo in questione parla del film come di “una favola per gonzi di destra”, cosa che ha fatto storcere il naso a più di uno spettatore [2]. Non è nostra intenzione difendere a spada tratta Fofi, che non ne ha certo bisogno, ma vorremmo soffermarci su un particolare appunto che gli viene mosso, perché crediamo sia perfetto segno dei tempi in cui viviamo: criticare un’opera perché “di destra” o “di sinistra” sarebbe sbagliato.
Fatta la tara all’ormai ripetitivo discorso populista sulla scomparsa di queste due categorie, si afferma che l’arte sarebbe “al di sopra” delle meschinità della politica, facendo eco alla tardo-romantica concezione dell’arte per l’arte, dell’estetismo fine a se stesso, che rifiuta qualsiasi scorta ideologica o grande messaggio, e si compiace esclusivamente dei propri slanci. In questo modo si colloca l’arte ad un livello assoluto, metafisico, misticheggiante. A meno di non credere che l’opera artistica sia frutto dell’ispirazione di una musa divina o di qualche altro ente soprasensibile, bisogna affermare che l’arte è un prodotto sociale, e come tale ha un contenuto politico, sia esso consapevole o meno. Ciò accade perché l’artista vive nella società e non può evitare completamente che il proprio lavoro risenta del proprio modo di vedere il mondo.
Posto questo, una critica dell’ideologia di un’opera d’arte non è in sé un’operazione illegittima, né ha meno dignità della critica estetica. Un conto è la valutazione della tecnica di realizzazione di un film e dei suoi risultati; un altro è l’analisi del messaggio ideologico di cui esso si fa portatore. Sarà semmai da rigettare un’analisi che confonda i due piani, rifiutando la tecnica perché l’idea dell’opera è contraria alle nostre convinzioni. Questo vale anche per chi ha come obiettivo l’analisi del discorso dominante: un buon film a livello tecnico va riconosciuto come tale anche e soprattutto se si fa portavoce di istanze reazionarie, perché l’efficacia del suo messaggio, la “presa” sullo spettatore, sono maggiori.
Fare dell’arte un feticcio totalmente autonomo dalla realtà significa abbassare la guardia e ricevere passivamente qualsiasi favola ci venga propinata dall’industria culturale. A maggior ragione se si tratta della più grande “macchina mitologica” che gli Stati Uniti abbiano a disposizione, cioè Hollywood. Al contrario, ricominciare ad opporsi alla spoliticizzazione totale di ogni discorso – in un momento in cui il disimpegno, l’accettazione passiva della realtà, la delega politica ed etica sono le parole d’ordine di chi ci governa – è un attività da intraprendere con decisione.
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[1] http://www.internazionale.it/opinione/goffredo-fofi/201
5/02/26/whiplash-damien-chazelle
[2] Mi riferisco sostanzialmente alle reazioni all’articolo in questione sui maggiori social network