Proponiamo la traduzione, a cura dei compagni di Noi Restiamo di Torino, di un artticolo di Stathis Kouvelakis, che insegna teoria politica al King’s College di Londra ed è membro del comitato centrale di Syriza, apparso sulla rivista “Jacobin”.
Ci sembra particolarmente importante perché rivela come la consapevolezza dell'”irriformabilità” dell’Unione Europea, e quindi della necessità di rompere la gabbia, si stia ora facendo largo anche al vertice di una formazione politica riformista, ce ha ricevuto dall’elettorato il mandato impossibile di metter fine all’austerità ma restando dentro la Ue e l’euro.
*****
La decisione del governo di Syriza di trasferire tutti i fondi pubblici disponibili alla Banca della Grecia segna un punto di svolta. Questa manovra ad alto rischio spiega nella maniera più chiara possibile la natura della situazione che si è sviluppata nei due mesi e mezzo che sono seguiti all’accordo del 20 febbraio.
L’argomento che è stato portato avanzi in favore di quell’accordo è stato che “prendeva tempo”, benchè ad un prezzo doloroso, così da preparare il terreno per le negoziazioni chiave dell’estate.
Si sosteneva che per un periodo di 4 mesi la BCE avrebbe posto fine alla tortura che stava imponendo all’economia greca dal 5 Febbraio, quando aveva deciso di porre fine al più importante meccanismo di finanziamento delle banche greche. Come adesso è generalmente riconosciuto, il governo è stato forzato a firmare quell’accordo sbilanciato attraverso la pressione imposta dall’accelerazione del deflusso dei depositi bancari e la minaccia di un collasso bancario.
Ora, con le casse pubbliche che si stanno svuotando per evitare la scadenza del servizio di debito e delle inesorabili obbligazioni di stato, è evidente che l’unico tempo che è stato preso è il tempo che lavora a vantaggio delle istituzioni europee e che la Grecia è esposta ad un ricatto che si intensifica mentre la sua posizione peggiora.
Il clima di belligeranza senza precedenti all’incontro del Eurogruppo a Riga, con il ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis che è stato messo alla gogna e ridicolizzato dalle sue controparti (persino da paesi dal piccolo peso come Slovacchia o Slovenia), mostra in maniera abbastanza chiara quanta umiliazione il governo ha dovuto ingoiare negli ultimi due mesi.
Dietro l’errore
In una dichiarazione degna di nota datata 23 Aprile Euclid Tsakalotos, il vice ministro responsabile per le relazioni economiche internazionali che è succeduto a Varoufakis come capo del team di negoziatori greco, ha detto in modo caratteristico: “quando apponemmo la nostra firma sull’accordo del 20 Febbraio facemmo l’errore di non fare in modo che questo accordo fosse un segnale alla BCE per cominciare il conto alla rovescia per [fornire] la liquidità”.
Ma questo “errore” non ha a che fare con un qualche aspetto secondario ma con il punto centrale dell’accordo. C’è una ragione specifica per esso, e questa ragione ha carattere politico e non tecnico.
La squadra greca non ha tenuto conto di ciò che era evidente fin dall’inizio, vale a dire che la Banca centrale europea e l’Unione europea non sarebbero andare a sedersi con le mani in mano di fronte da un governo della sinistra radicale. La pistola più grande nel loro arsenale è la liquidità ed era del tutto logico e prevedibile che avrebbero fatto ricorso ad essa immediatamente. E naturalmente i finanziatori hanno tutte le ragioni per continuare a “stringere il cappio” (come dice il primo ministro Alexis Tsipras) fino a quando non avranno costretto la parte greca in una capitolazione totale.
Perciò “l’errore” è il risultato da una ipotesi di lavoro fondamentalmente sbagliata, su cui è stata basata tutta la strategia del governo fin dall’inizio: che “finalmente raggiungere un accordo con i creditori”, così da consentire a Syriza di attuare il suo programma rimanendo nella zona euro. Questa è la logica condannata all’insuccesso dell’europeismo di sinistra”.
E adesso che succede?
Per quanto la frase sia stata usata e abusata, non possiamo trovare un modo migliore di descrivere la situazione attuale del paese dicendo che è appeso ad un filo.
Con il metodo e il contenuto della legislazione sul trasferimento di fondi il governo si trova in una situazione molto difficile non solo finanziariamente ma politicamente. In Grecia potrebbero essersi cominciati a creare i presupposti per cacerolazos, manifestazioni sul modello favorito in America Latina dalle opposizioni reazionarie e sponsorizzate dall’estero che cercano di rovesciare governi di sinistra.
L’unica via di uscita dalla minaccia del confino nella gabbia del Memoranda e dal deragliamento del progetto del governo sta nell’attivazione della mobilitazione popolare, riconquistando il clima combattivo e pieno di speranza che ha prevalso prima dell’accordo 20 febbraio.
Non è troppo tardi. È adesso l’esatto momento per un discorso franco, l’unico che possa avere un impatto e attivare le persone, precisamente perché le tratta con il dovuto rispetto, come adulti e come gli agenti del proprio destino.
Quello che è in ballo in Grecia è la possibilità di un cambio radicale e l’apertura di una strada verso un cambio di rotta politico e un’emancipazione del suo popolo, delle sue classi lavoratrici ma anche il futuro dei lavoratori in tutta Europa.
La paura del Grexit non dovrebbe più paralizzarci.
È arrivato il momento di chiarire, tanto per cominciare, che qualunque fondo venga incanalato in base alla nuova normativa nelle casse pubbliche è destinato per la copertura dei bisogni pubblici e sociali e non per i pagamenti ai creditori.
È arrivato il momento di porre fine ai chiacchiericci soporiferi che dicono che “i negoziati stanno andando bene” e “l’accordo sta per arrivare”.
È arrivato il momento di porre una fine immediata ai riferimenti surrealisti a “soluzioni che beneficiano entrambe le parti” e ai “partner” con i quali saremmo “co-titolari dell’Unione Europea”.
È arrivato il momento di rivelare alla Grecia e all’opinione pubblica internazionali i dati che mostrerebbero la guerra implacabile che è stata intrapresa contro questo governo.
E sopratutto è arrivato il momento di prepararsi finalmente, politicamente, tecnicamente e culturalmente per l’unica soluzione onerevole, ossia separarsi da questa implacabile cabala neoliberale.
È arrivato il momento di rendere concreto il contenuto di una proposta alternativa, e di spiegarne la fattibilità, cominciando con la duplice iniziativa della sospensione dei pagamenti ai creditori e la nazionalizzazione delle banche e proseguendo, se necessario, alla scelta di una moneta nazionale, approvata dalla popolazione tramite un referendum popolare.
È arrivato il momento per la riflessione ma anche per la risolutezza. Questo è il momento in cui il disastro e la redenzione stanno l’uno di fianco all’altro. Questo è il momento per reagire.