ReUniOn e la guerra: quando l’università giustifica gli interventi militari

Come campagna Noi Restiamo, abbiamo voluto portare la nostra voce di dissenso contro ReUniOn, la tre giorni di convegni e incontri voluta da Ivano Dionigi per celebrare la fine del suo mandato da rettore dell’Alma Mater ed inaugurando così la sua “discesa in campo” nell’arena politica bolognese per tentare la scalata a Palazzo D’Accursio.
In questa tre giorni abbiamo sonoramente contestato in primis l’iniziativa sulle start-up, nuova forma di sfruttamento e appropriazione del lavoro altrui spacciata come una nuova opportunità all’interno del mercato del lavoro attuale. Poi abbiamo portato il nostro dissenso anche al convegno sulla sovranità alimentare, tenuto da rappresentanti di Granarolo e Fi.Co., fautori del “modello EXPO”: non certo il miglior modo per garantire l’equità e la sostenibilità dei prodotti agricoli ed alimentari.

In conclusione alla tre giorni poi, è stato dato spazio ad un dibattito di geopolitica in cui esperti di questioni militari, ex funzionari e diplomatici dell’UE davano la loro visione riguardo ai recenti conflitti nati alle porte d’Europa e di come l’europolo debba affrontare queste crisi.


Partendo dall’affermazione che la caduta del Muro di Berlino abbia portato alla creazione di un mondo multipolare, determinando così un riassestamento dei rapporti di forza geopolitici a livello europeo e mondiale, i relatori hanno esplicato le loro analisi sull’ intensa escalation dei conflitti che oggi circondano l’Europa dalle sponde sud del Mediterraneo fino alla sua periferia orientale ed al confine con la Russia.
In tutti questi scenari, pur ammettendo responsabilità oggettive dei Paesi europei ad esempio nella destabilizzazione della Libia, naturalmente l’Unione Europea viene dipinta come l’unica entità in grado di portare pace, stabilità e benessere, e ci si auspica un intervento diretto e congiunto come polo europeo.
Ovviamente non si parla mai apertamente di “boots on the ground” o di vere e proprie missioni militari (considerate, almeno a parole, come “extrema ratio”), ma si tende sempre a ridimensionare l’entità degli interventi e ad usare i soliti eufemismi, come il classico “intervento umanitario”.
Ma i relatori si rendono conto anche che l’integrazione europea non è ancora giunta a pieno compimento, soprattutto per quel che riguarda le scelte di politica estera e gli interventi militari, che sono ancora prerogativa dei singoli stati membri.
Dunque, quel che si auspica è un deciso balzo in avanti verso un’ulteriore cessione di sovranità da parte degli stati europei verso le istituzioni centrali, in modo che l’UE possa farsi carico del ruolo che da 25 anni a questa parte è stato nei fatti esclusivo appannaggio degli Stati Uniti: quello di “poliziotti del mondo”.

Ci appare evidente come questa visione nasconda ideologicamente le vere cause dei conflitti esplosi alle porte dell’Unione Europea e come faccia emergere prepotentemente il discorso del padrone che non lascia nessuna possibile alternativa al sistema di cose vigente: l’unica possibilità di emancipazione per i popoli di tutto il mondo, secondo costoro, è seguire le leggi del libero mercato e della democrazia borghese occidentale, per quanto questa sia sempre più evidentemente in crisi di legittimità anche tra i propri popoli.
Avendo approfondito in modo dettagliato le situazioni esistenti in Ucraina e Libia (le due situazioni “calde” su cui si è concentrato il convegno), come campagna Noi Restiamo possiamo tranquillamente smentire il velo ideologico che ha accompagnato questo dibattito, affermando che è proprio il ruolo imperialista che si da’ l’Unione Europea ad aver causato una serie di conflitti e destabilizzazioni politiche ai propri confini.
Sappiamo bene come, ad esempio, la situazione attuale che vede l’Ucraina in piena guerra civile, sia scaturita dall’espansionismo commerciale europeo con la Germania in prima fila, pronta ad assicurarsi nuovi mercati liberi per esportare i propri prodotti e per avere materie prime e forza-lavoro a basso costo.
Questo ha portato l’UE ad entrare in contrasto con la Russia e ad adottare una scellerata politica di sanzioni economiche che si stanno ripercuotendo in maniera sempre più evidente nelle economie dei Paesi membri, privati di un partner commerciale di primo piano verso cui esportare i propri prodotti.
Il dato più drammatico che emerge, guardando anche alla situazione libica o siriana, è che gli apprendisti stregoni europei non si sono fatti remore nel destabilizzare (direttamente o indirettamente) interi Paesi, facendoli sprofondare nel pieno di una guerra civile fratricida se non in una piena balcanizzazione del territorio nazionale.

Esprimiamo ancora una volta dunque, la nostra contrarietà a ReUniOn, vetrina personale di Dionigi per la sua avventura politica, non solo per i costi decisamente alti (il tutto è costato quasi mezzo milione di euro all’Alma Mater), ma anche per i contenuti che essa ha espresso: questa kermesse ha infatti toccato molti dei temi all’ordine del giorno all’interno della crisi sistemica: dai nuovi rapporti di lavoro subordinato, alle sfide alimentari, dalla nuova gestione della cultura e delle università, fino, appunto, alla gestione dei conflitti e al ruolo che l’UE si deve dare.
Questo evento, pone dunque l’università di Bologna ed il suo ormai ex-rettore, tra i capifila di un nuovo modo di pensare all’istruzione ed alla trasmissione del sapere non come momenti di crescita e formazione di individui liberi e pensanti ma come inculcamento dottrinario ed ideologico di un’unica verità.
Verità che, guarda caso, riflette precisamente le linee guida del nuovo modello di governo tecnocratico europeo che sta portando alla miseria milioni di cittadini e si prefigura all’esterno come una potenza imperialista e belligerante.

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