Ormai più di un anno fa, subito dopo l’offensiva israeliana su Gaza, un compagno di Noi Restiamo ha realizzato un’intervista a Joseph Halevi (docente presso la University of Sydney). L’intervista è rimasta inedita fino ad oggi, ma è ancora molto attuale. Abbiamo deciso quindi di pubblicarla in prossimità dell’anniversario della Nakba.
Vincenzo Maccarrone: il recente conflitto di Gaza è stato l’ennesimo evento di violenza fra il popolo israeliano e quello palestinese. Se volessimo risalire alle radici di questa violenza, dove dovremmo scavare?
Joseph Halevi: come dinamica iniziale dovremmo partire già dall’inizio dell’insediamento colonizzatore, non tanto quando arrivarono i primi ebrei a fine ‘800 – in quel caso si trattava di attività private, auto-finanziate – ma da quando iniziò, se vogliamo dare una data, la fondazione della città di Tel Aviv nel 1909. Tel Aviv sorge sulle rovine di sei villaggi arabi. Cosa era successo? Coloro che sostenevano la colonizzazione, in questo caso già colonizzazione sionista, compravano le terre presso proprietari terrieri arabi, che erano in gran parte feudatari assenteisti (la maggior parte stava a Beirut) e poi, con il fido di proprietà, sfrattavano i contadini che lavoravano su quelle terre. E questo è un atto di violenza: usavano il titolo di proprietà come titolo di sfratto, rompendo sostanzialmente quelle leggi consuetudinarie- quasi nulla era codificato, essendo quello ottomano un sistema semi-feudale- per cui i fellahin (contadini) arabi vivevano lì. È simile al processo delle enclosures inglesi.