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Provocazioni fasciste alle case occupate Nelson Mandela – via Irnerio 13: il disagio sociale e la guerra fra i poveri

Da due individui invettive contro la casa Nelson Mandela e la presenza di migranti. Asia Usb, Noi restiamo e TerzoPiano: “Violenza fisica scongiurata solo grazie all’arrivo di numerosi inquilini resistenti”.

Nasia2el pomeriggio di oggi si sono presentati all’ingresso delle case occupate due provocatori ch da subito hanno cominciato ad attaccare verbalmente l’esperienza dell’occupazione e la presenza migrante nei percorsi di lotta popolare. Nonostante il tentativo da parte di militanti e occupanti di smorzare i toni, evidentemente i 2 bicchieri al bar di troppo hanno fatto prolungare gli alterchi per parecchio tempo, arrivando quasi alla violenza fisica scongiurata solo grazie all’arrivo di numerosi inquilini resistenti.I due individui moolto probabilmente non appartenevano a nessun gruppo organizzato, tuttavia sono
il segno della permeabilità di parte del tessuto popolare disagiato e triturato dalla crisi economica e dalle politiche comunitarie e nazionali rispetto a discorsi e parole d’ordine di chiara matrice ideologica di destra nazionalista e fascista che tendono a creare la guerra fra i poveri.

Il livello d’attenzione rimane alto e l’episodio mostra come anche nella ricca e rossa Bologna il tessuto popolare se non trova risposte di classe adatte, può scegliere una via di espressione di malcontento reazionaria.

Per questi motivi crediamo che i percorsi di ricomposizione sociale e politica delle classi popolari siano il nostro principale compito in questa fase storica. Percorsi che esistono e si esprimono attraverso le occupazioni abitative, la conflittualità sui posti di lavoro e che si sono espressi nell’importante giornata del 1 maggio.

Asia Usb
Noi restiamo
Cso TerzoPiano

Il primo maggio non si lavora… si costruisce

10253831_689506211109489_417350535517674429_nLa giornata del primo maggio bolognese ha espresso un momento di mobilitazione molto positivo, tanto in termini di partecipazione quanto di pratiche e consistenza del messaggio politico che si è voluto lanciare. La composizione delle iniziative che hanno caratterizzato la giornata ha evidenziato la necessità di costruire percorsi a cui sappiano contribuire molteplici realtà politiche attive nel tessuto urbano, che diano voce e corpo ad un’alternativa che parta da quelle fasce della popolazione sfruttate e allontanate della gestione della “cosa pubblica”.

E sono proprio queste le persone che hanno attraversato il centro di Bologna, in piazze colme di lavoratori, occupanti, precari e studenti, determinati a esigere quello che dovrebbe essere condizione garantita per tutti, il diritto a determinare la propria vita in maniera equa e
dignitosa in tutte le sue articolazioni: il diritto alla casa, al reddito, all’istruzione, alla salute…
Il corteo mattutino, convocato dal sindacato USB, ha sfilato per le vie del centro dimostrandosi agguerrito nell’affermare che il primo maggio, giornata delle lavoratrici e dei lavoratori, non si lavora, sanzionando quegli esercizi commerciali che, forti della capacità di ricatto verso i dipendenti hanno tenuto aperta la propria attività, mettendo in mostra quanto sia scellerata e diffusa ormai la prati
ca di calpestare i diritti dei lavoratori.

E soprattutto, ha saputo indicare in maniera decisa che tutte le nostre rivendicazioni hanno un tratto comune: alla base della privazione dei diritti a cui assistiamo giorno dopo giorno non possiamo che riscontrare il ruolo dell’Unione Europea, polo imperialista che sfrutta i paesi membri tanto quanto quelli esteri per alimentare la propria sopravvivenza nella competizione globale. Un sistema che si alimenta con appetito insaziabile delle misure di austerità e dei diktat finanziari imposti agli stati membri, così come dello sfruttamento delle filiere produttive dislocate strategicamente nei paesi in via di sviluppo.

Il corteo, di fronte al comizio dei sindacati che si rendono complici di questa macchina di sfruttamento – già duramente criticati durante l’iniziativa “no coop” che ha attraversato la cittadella universitaria – come di fronte a tutta la città, ha espresso un messaggio chiaro:
“via i complici della troika”. Questo significa dire basta al susseguirsi di governi non legittimati democraticamente che mettono in pratica il disegno europeo senza guardare in faccia le co
ndizioni oggettive di un paese che soffre.  L’ultimo esempio lampante è il governo guidato da Matteo Renzi, vero e proprio fantoccio che, servo delle banche e degli interessi della borghesia internazionale, impugna a tutto spiano la bandiera europea come orizzonte della democrazia e del progresso. Questa bandiera non possiamo riconoscerla come nostra, non può essere simbolo di una comunità internazionale dei popoli perché quegli stessi popoli sono oggetto e vittima del sistema politico ed economico che si identifica in tale bandiera.

E proprio in questo senso la giornata del primo maggio ha dimostrato cosa significhi per noi “restare”: non si tratta di una firma politica ma della volontà di poter determinare le proprie vite in un contesto in cui libertà, diritti e democrazia non siano solo parole vuote ma condizioni garantite nella pratica, e non essendo costretti a fuggire verso ipotetici paradisi rincorrendo una speranza ormai impossibile di soddisfazione o sopravvivenza personale.

E questo non può che avvenire con uno sforzo collettivo, basato sulla condivisione di analisi, pratiche, progetti e sogni che sappia dare corpo a un’alternativa che è possibile ma osteggiata in tutti i modi dall’avversario politico, dalla gestione dei percorsi di studio al mercato del lavoro fino ai più subdoli metodi di condizionamento della mentalità. Nel complesso la giornata, in tutte le espressioni e le pratiche che l’hanno caratterizzata, ha messo in luce la composizione variegata e meticcia del movimento cittadino, in grado di esprimere conflitto così come ricomposizione “meticcia”, lampante nei cortei e nel pranzo sociale al centro d’accoglienza occupato Lampedusa”. Momento di festa, questo sì, che ha fatto risplendere ancora di più il sole primaverile, celebrando la possibilità di una società e una socialità diverse se solo si potessero abbandonare quelli che sono i cardini del modo di vivere occidentale moderno: individualismo, competizione, diffidenza verso il “diverso”.

E oggi? Oggi guardiamo al futuro, ad una estate che vedrà insediarsi il semestre di presidenza italiana dell’ UE e che, speriamo, troverà la risposta determinata di tutti coloro che non possono più sopportare questo dominio, che vogliono sovvertirlo immaginando alternative politiche non solo per l’Italia ma per tutti i paesi e i popoli che subiscono la stessa sorte.

Noi Restiamo

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“No ai fogli di via”, manifestazione in Prefettura

Dopo i divieti di dimora per piazza Verdi appuntamento oggi pomeriggio alle 17 in piazza Roosevelt. Attestati di solidarietà da Usb, Tpo, Làbas, Cua, Hobo, Noi Restiamo, Ross@, Rdc, Vag61, Coalizione Sans-papiers e Migranti, Primo Moroni.014

Stamattina, 6 marzo, polizia e carabinieri hanno consegnato a 12 compagni/e dei movimenti bolognesi dei provvedimenti giudiziari per i fatti del maggio 2013 in piazza Verdi. Gli attivisti sono tutti stati colpiti da “divieto di dimora” nel comune di Bologna.

Tra loro c’è Giorgio, noto militante di Asia-Usb, che da anni porta avanti in città la lotta per il diritto all’abitare e per i diritti dei rifugiati, così come compaiono molti nomi di esponenti del Cua e del Tpo.

Con questa azione, che molto ricorda gli arresti di Roma e Napoli di poche settimane fa, la repressione cerca ancora di porre un freno alle lotte di chi reclama casa, reddito e dignità per tutti.

Noi Restiamo Bologna esprime la più ferma condanna a questa azione repressiva e la più forte solidarietà a tutti i compagni e le compagne colpiti in queste ore.

Iinvitiamo tutti e tutte al presidio sotto la Questura , in p.zza Roosevelt, alle 17:00.

Saremo lì per difendere i nostri compagni e le lotte che insieme abbiamo e stiamo portato avanti.

Noi Restiamo Bologna

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Dal confronto politico alla piazza, verso il 12 aprile

Dopo un interessante momento di confronto sul ruolo dell’Unione Europea, ci prepariamo a scendere in piazza a Roma il 12 aprile: contro il neoliberismo, le politiche di austerità gestite dai governi nazionali e la costruzione del polo imperialista europeo

Nella serata di venerd¡, abbiamo dato il nostro contributo alla realizzazione di un dibattito che Ross@ ha riproposto a Bologna sulla falsariga del forum che i compagni del Collettivo Militant avevano coordinato lo scorso weekend a Roma assieme alla rete Noi Saremo Tutto: “Exit Strategy, rompere la gabbia dell’Unione Europea”. Un’occasione ottima per noi, che ci ha consentito di dedicare spazio a un ragionamento d’insieme che sappia riallacciare i fili del discorso su cui da mesi stiamo portando avanti le attività politiche e culturali all’interno del Centro Studio Occupato Terzopiano, e sulla base del quale si innesta la nostra partecipazione ai momenti di lotta e mobilitazione cittadina.

Nello specifico della resistenza all’imposizione della fuga all’estero come scelta obbligata e non come opportunità possibile, un’imposizione mediata con il dispiegamento del meglio del patrimonio ideologico padronale e dei suoi attori, abbiamo individuato un aspetto particolare su cui muovere una campagna di agitazione e di confronto che sappia caratterizzare oggi la questione generazionale come risultante pratica di un processo generale. Un processo i cui protagonisti e artefici sono le frazioni di borghesia che agisconoper la costruzione di un “super-stato” europeo, uno spettacolo al quale non vogliamo assistere supini mentre ne subiamo le conseguenze sulla nostra pelle. Per contribuire perciò alla ricomposizione soggettiva di un corpo sociale precario ed eterogeneo, di fronte alla chiusura di margini di trattativa e mediazione, dobbiamo insistere nell’indicazione della forma che il capitalismo sta assumendo qui ed ora e del piano dello scontro più avanzato che l’avversario di classe sta determinando. Il soggetto da indicare è l’Unione Europea, che modella la divisione internazionale del lavoro a favore delle attuali necessità di settori di classe dirigente, che ordina lo smantellamento del welfare, che cerca di giocare la sua partita nella contesa imperialista dei territori, che cancella diritti e riduce l’accesso per la maggioranza della popolazione a forme di salario diretto e indiretto.

Un ragionamento basato su queste linee guida è stato il nostro portato specifico all’iniziativa di venerdì sera, la quale ha sicuramente contribuito ad aggiungere maggiore comprensione sulla lettura ad ampio raggio di questi meccanismi. Ciò ci ha aiutato a fare ulteriore chiarezza su come declinare il nostro intervento politico nel prossimo futuro, rivolgendo uno sguardo anche ai momenti di mobilitazione nazionale che consideriamo più avanzati, e all’interno dei quali andare a trovare possibili interlocutori. Già la manifestazione del 12 aprile è sicuramente un appello a cui non vogliamo mancare. Dobbiamo però riconoscerne alcuni limiti. La costruzione delle giornate nazionali di ottobre era risucita a dare una voce unica alle rivendicazioni del sindacalismo conflittuale, ai movimenti per l’abitare, alle lotte dei comitati territoriali che si battono contro la devastazione dei territori. Questo allora poteva essere il momento opportuno per alzare l’asticella del confronto, indicando la regia di comando che determina le scelte dei governi nazionali ad essa complici. Per questo intendiamo condividere la nostra presenza in piazza con chi, nella pur giusta e condivisa lotta contro la precarizzazione del lavoro e per un reddito minimo garantito, non vuole arrendersi alla possibilità di uno scontroche sia veramente politico.

O ci arrendiamo all’idea che la partecipazione politica delle fasce popolari subisca l’egemonia delle retroguardie nazionaliste e reazionarie, che cercano di riaffermare le proprie istanze in un momento storico in cui le frazioni di borghesia transnazionale detengono le redini del comando, o apriamo spazi di confronto a sinistra che sappiano individuare le forme che si sta dando l’attacco di classe dall’alto nel contesto della centrificazione europeadurante la crisi. La soluzione non sta né nel tornare indietro né nell’andare avanti, ma nel cambiare strada e uscire dal sistema capitalista!

NOI RESTIAMO

“No al career day”, blitz sulla torretta del ponte Matteotti

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Il 4 e 5 marzo si celebra a Bologna il matrimonio tra università e aziende, tra offerta e domanda di lavoro. Questa dovrebbe essere la candida immagine del Career Day, almeno secondo la martellante campagna mediatica che come ogni anno l’Unibo ci ha costretti a subire per mesi. Un circo che terrà banco in un contesto in cui l’Italia registra un tasso di disoccupazione giovanile del 43%, in cui il lavoro atipico è il paradigma di smantellamento delle tutele per la dignità e la sicurezza dei lavoratori, in cui il patrimonio industriale e produttivo sta venendo letteralmente mandato in fumo da questa crisi, in una guerra silenziosa ma non priva dei suoi cadaveri. Non ci è quindi andata giù l’idea di essere ancora una volta le scimmiette di questi saltimbanchi, e oggi ci prendiamo anche noi lo spazio in città per dare visibilità alle voci e alle speranze degli studenti, per squarciare la tela di questa buffonata di cui vorrebbero renderci taciti attori. Dall’alto della torretta di ponte Matteotti lanciamo una chiamata al mondo della precarietà giovanile, perché possa trovare qui un megafono attraverso il quale parlare i suoi linguaggi, portare i suoi contenuti, rivendicare le proprie aspettative in antitesi alla trama ideologica padronale scritta per il padiglione 31 del distretto fieristico. Lanciamo il nostro bengala anche agli studenti delle scuole superiori, che negli stessi giorni vengono portati in gita nella pancia del mostro, e ci auspichiamo che possano coltivare un’alternativa alla negazione di futuro e alla differenziazione sociale che verrà proposta loro negli stand fieristici.

Ci vorrebbero far credere che la soluzione alla crisi di questi anni sia un mercato del lavoro dominato da precarizzazione selvaggia, come proposto nel Jobs Act renziano, a tutto guadagno di chi può spremere un dipendente fino a estrarne tutto l’utile possibile e poi buttarlo via come un giocattolo vecchio. Fanno passare tutto questo immaginario reazionario nella mente degli studenti con un’iniezione mediatica, culturale e ideologica, abituandoli sempre più a “rincorrere l’occasione”, che sia uno stage, un contratto schiavista camuffato da progetto, il miraggio dell’espatrio all’estero verso paradisi che oggi non esistono. Le generazioni che subiscono tutto ciò hanno invece bisogno di sottolineare il ruolo determinante assunto nell’attuale scenario di crisi occupazionale dalla suddivisione internazionale del lavoro, nelle forme in cui da decenni si è andata a delineare con l’avvio del processo antidemocratico di accentramento continentale, accelerato dalla competizione dei mercati nella crisi e dalla frantumazione del mondo unipolare verso la costruzione del polo imperialista europeo. Per di più, un evento come il Career Day assume rilevanza particolare in una città come Bologna, dove trova la sua sede il Bologna Process, tassello fondamentale nella costruzione di questo scenario, e dove il rettore dell’università è in prima fila ad offrire il proprio ateneo, e quindi migliaia di vite, come cavia da laboratorio per la riforma Gelmini, che della dismissione dell’istruzione pubblica ed egualitaria ha fatto un cavallo di battaglia, del lucroso rapporto dei privati nei dipartimenti e del profitto sulla pelle degli studenti una bandiera. Fintanto che non rinnegheranno, combatteranno e stravolgeranno tuttò ciò, finchè protagonista del loro operato non sarà il mondo della formazione, della ricerca in senso solidale e negli interessi delle generazioni che subiscono la crisi e ne risultano escluse dal proprio stesso futuro, in competizione impari tra le parti, nessun rettore e nessun ministro di governo potrà parlare di studenti e istruzione senza sapere di mentire.

Non ci pieghiamo quindi a questo modello assassino di organizzazione del lavoro, di cui il Career è il tempio ideologico per il quale università e aziende non disdegnano di spendere soldi a valanga, lanciamo anche su Bologna la manifestazione nazionale che attraverserà la capitale il 12 aprile, che sarà un’aperta dichiarazione di opposizione e conflitto agli apparati che stanno imponendo a livello sociale europeo austerity, disoccupazione e criminalizzazione delle lotte, che si incentrerà ancora una volta su reddito e lavoro, due questioni che non vediamo affatto contrapposte – come vorrebbero governo e poteri forti – soprattutto afronte di una disoccupazione di massa e di un lavoro sempre più precarizzato con la complicità dei sindacati concertativi.

Studenti, lavoratori, disoccupati, giovani precari bolognesi per la campagna “Noi restiamo”

Comunicato Cso Terzopiano

A una settimana di distanza dal presidio agli uffici amministrativi della proprietà dello stabile di via Irnerio e alla loro dichiarata e chiara intenzione di avviare la procedura di sgombero a tutti i costi, si è svolta oggi una nuova giornata di lotta e rivendicazione sotto il comune di Bologna.

Con gli occupanti di via Irnerio 13 e delle scuole Ferrari, ASIA-USB e gli utenti dell’aula studio abbiamo palesato le nostre intenzioni: una richiesta di incontro con la giunta per avere risposte sull’emergenza abitativa e sulla requisizione degli stabili sfitti. Per tutta risposta il consiglio comunale riunito a Palazzo D’Accursio concede un incontro con l’assessore alla cultura Ronchi: evidente il tentativo di non prendere sul serio le rivendicazioni portate dal presidio. E’ per questo che un gruppo di compagni e di abitanti resistenti sono entrati nella sala di consiglio e l’hanno interrotto, esigendo di avere un confronto quantomeno con gli assessori competenti Malagoli e Frascaroli che negli ultimi mesi hanno speso belle parole e promesse di mediazione e disponibilità. Eppure la risposta è stata di chiusura: la presidente dell’assemblea, come riportano i giornali, si rifiuta di dialogare in quanto sostiene che “finchè manterranno questo atteggiamento, io non intercederò per loro”, mentre fuori del palazzo, al tentativo del presidio di portarsi all’interno, la risposta è esemplificata da spintoni con gli scudi e calci da parte delle “forze dell’ordine” schierate in gran numero.

E’ stata solo la determinazione della delegazione in consiglio comunale e del presidio che non si è disperso dopo i momenti di tensione a costringere al confronto l’amministrazione comunale tramite l’assessore Malagoli. Ancora una volta sono state portate le richieste del movimento di lotta per la casa: moratoria sugli sfratti, sanatoria per le occupazioni abitative presenti sul territorio, ma soprattutto la requisizione degli stabili sfitti come soluzione all’emergenza abitativa in atto.

A quanto pare però l’amministrazione cittadina non è determinata ad assumere posizioni e responsabilità politica, di cui sarebbe investita, di fronte alla cittadinanza e alle problematiche sociali, mantenendo una linea di ambiguità che nei fatti favorisce il profitto privato e gli speculatori, rifiutando anche solo di prendere in considerazione soluzioni concrete e reali: e’ proprio all’interno di questa cornice che leggiamo lo scarico di responsabilità fra l’amministrazione, la prefettura e la proprietà. E’ per questo che crediamo che la costruzione di un’alternativa reale alle problematiche sociali, politiche e culturali non possa che continuare a svilupparsi all’interno delle lotte e degli spazi che vedono il confronto e l’organizzazione collettiva come punto centrale nonostante le difficoltà, gli errori e le carenze possibili. E’ questo lo stimolo che sta alla base del Cso Terzopiano, come di tutti quei cantieri ed esperienze che al proprio interno siamo riusciti e stiamo facendo vivere, a partire dall’aula studio passando per le proeizioni, l’atelier, Radio Machete, i momenti di socialità, il tentativo di mantenere un livello di discussione politica alta e inclusiva nell’assemblea settimanale e la quotidiana collaborazione con ASIA per la gestione dell’occupazione.

“Noi Restiamo” rimane la nostra parola d’ordine ora più che mai, perchè percepiamo il bisogno di dare continuità a percorsi di dialogo e crescita politica laddove questi vengono consapevolmente negati dalle istituzioni nazionali e continentali, relegando le classi popolari a spettatori inermi su cui scaricare i costi del mantenimento dello stato di cose presente, ponendo oramai di fronte a scelte obbligate: restare e subire o rincorrere il sogno di migrazioni impossibili. E’ proprio questa catena che vogliamo e dobbiamo spezzare, dando forma ad altre scelte, ad altri modelli di vita e società che invece crediamo possibili e che non si arresteranno davanti a minacce di repressione o sgomberi. Non abbiamo la presunzione di essere sufficienti a farci carico di una rivendicazione totalizzante e onnicomprensiva, il solo modo per continuare questo percorso è la connessione e la solidarietà tra esperienze e lotte già presenti e radicate così come in via di strutturazione. Dare organicità a ciò che si muove nel panorama antagonista deve essere l’obiettivo di chiunque voglia impostare un discorso che sia nel più puro dei sensi politico, e in questo senso percepiamo l’importanza di segnali come l’appuntamento lanciato dalla mensa popolare “eat the rich” per un pranzo in solidarietà all’occupazione di via Irnerio mercoledì 22 a Vag 61. Così come il rapporto intrecciato con il comitato No People Mover, che denuncia un’altra realtà di sfruttamento dei contributi pubblici per la realizzazione di opere inutili e dispendiose.

Ribadiamo pertanto la nostra determinazione a non cedere di un passo nella nostra lotta, tanto quella per mantenere lo spazio conquistato in via Irnerio quanto la prospettiva più generale che costruiamo e continueremo a costruire a dispetto di ogni porta chiusa che troviamo sulla nostra strada.

Centro Studio Occupato TerzoPiano

Il diritto alla vita passa attraverso l’organizzazione delle lotte

presidioCon l’inizio del nuovo anno gli occupanti di via Irnerio 13 hanno trovato nuovo carbone nella calza della befana, ricevendo una lettera da parte dell’azienda ospedaliera universitaria Sant’Orsola, proprietaria dell’immobile lasciato all’incuria da anni, la quale avvisava di aver proceduto con la richiesta di sgombero alle autorità competenti. Dopo mesi in cui avevamo chiesto un confronto con la Direzione ospedaliera e l’Università, questa è stata la prima e unica risposta ufficiale pervenutaci.

Per questo abbiamo ritenuto che fosse arrivato il momento di attivare immediatamente una mobilitazione in sostegno del percorso collettivo avviato dopo le intense giornate del 18 e 19 ottobre, convocando intanto per la mattinata di oggi insieme ad Asia-Usb un presidio di fronte agli uffici amministrativi del Sant’Orsola, in via Albertoni. La presenza massiccia degli abitanti di entrambe le occupazioni abitative presenti in città, di quel mondo giovanile e precario che attraversa ogni giorno le aule e i progetti del Centro Studio Occupato TerzoPiano e di molti compagni solidali, ha indotto la Direzione ospedaliera ad accettare ben presto un confronto reale e non solo formale, sedendo a un tavolo con una delegazione di chi da ottobre sta valorizzando gli spazi abbandonati. Ma evidentemente la posizione espressa nella lettera non cambia: rientrare in possesso dello stabile, sgomberare gli occupanti illegittimi.

Senza scendere in alcuni cavilli pretestuosi, come la presunta inagibilità di alcuni locali, dichiarati invece perfettamente a norma dagli stessi periti mandati a dicembre dalla Prefettura con il chiaro intento di avvallare il procedimento di sgombero, e palesemente sconfessata anche dalla presenza di attività commerciali dentro lo stesso immobile, quello che ci è apparso interessante è la visione globale assunta a monte dall’azienda. Ci dicono in sostanza che i tagli alla sanità portano la Direzione a ritenere indispensabile il patrimonio alienabile, che la nostra presenza all’interno ne inficia il valore di mercato, che (citiamo) “un ospedale deve garantire la possibilità di accedere alle cure, non di vivere”! Un lapsus, una frase uscita male, che conferma però tutto l’impianto ideologico aberrante dei ragionamenti portati avanti questa mattina e fossilizzato ormai a ogni livello delle strutture dirigenziali di questo paese sotto austerity. Ogni volta che diciamo che la crisi si sta facendo sistema non proferiamo uno slogan a caso, ma constatiamo la nuda crudezza della realtà che ci incombe da tutti i lati. Finché la scarsità di risorse viene posta come giustificazione per ogni muro alzato contro la sussidiarietà tra persone, non potremo che proseguire sul sentiero di immiserimento verso cui ci hanno indirizzati. La contrapposizione tra diritti diversi, per la salvaguardia del privilegio di chi in cima continua a competere per spartirsi bottini sempre più vasti e monopolizzati, è lasciata intendere come risultante di fattori economicamente imperanti; la piramide alla base della quale accomunare le sorti di fasce di popolazione sempre più ampie è una costruzione necessaria per la sopravvivenza del capitale a queste latitudini, in questo momento storico, e la cui gestione è lasciata in mano agli organi decisionali, di controllo e repressivi della macchina statale integrata sempre più in un processo di accentramento continentale. La delineazione dei contorni di un blocco sociale antagonista non è quindi un divertisment dell’intelletto, ma un dato di fatto imposto dall’alto che chiunque voglia garantirsi uno stile di vita superiore alla sopravvivenza deve tenere in conto.

La battaglia politica e culturale portata avanti negli ultimi trent’anni è stata vinta dal pensiero neoliberale su tutta la linea. Eppure non dimentichiamo che l’attacco frontale che stiamo subendo, ormai anche sul piano materiale, produce da sé la base oggettiva per l’emersione delle lotte da contrapporre alla negazione della mediazione, negazione data come obbligata non da nostri velleitarismi estremisti, ma dalla stessa controparte. Le fantomatiche “risorse scarse” sono evidentemente ancora sufficienti per lasciarci le briciole, per un’educazione decente se ce la possiamo permettere, per un lavoro da fame se lo troviamo, per andare proprio all’ospedale se ci ammaliamo vivendo sotto un ponte (come alcuni abitanti di via Irnerio hanno fatto giustamente notare alla direttrice che avocava per il suo ospedale una “mission aziendale diversa da quello che chiedete voi”!). Contro le logiche al ribasso vogliamo contrappore il diritto a una vita decorosa sotto tutti i profili. E’ lontana dal prendere forma una soggettività adeguata a questa rottura e capace di generalizzare logiche differenti, e siamo costretti a rivendicare un incontro col Comune nelle persone di quegli assessori che avevano rilasciato dichiarazioni di buone intenzioni e di apertura, perché le tramutino in fatti nell’intermediazione con la proprietà. Ma ciò non toglie che è solo attraverso il confronto e l’organizzazione collettiva del livello reale delle lotte che pensiamo si possa progredire sulla strada per un futuro diverso. La qualità dei risultati che in molte città la lotta per l’abitare può sempre più annoverare, anno dopo anno, è un valido supporto esemplificativo per le nostre convinzioni.

E’ all’obiettivo di creare massa critica tra diverse componenti dell’autonomia della conflittualità sociale e politica che puntiamo ogni giorno attraverso le iniziative, i progetti e la discussione del TerzoPiano. Consci dell’insufficienza della nostra resistenza alla precarietà a cui ci vogliono relegare, sappiamo però che solo la messa in rete dell’individuazione del piano del confronto-scontro con la controparte e della progettualità politica possono dare respiro e indirizzo alle vertenze.

Intanto la mobilitazione prosegue, prevediamo subito un secondo appuntamento per settimana prossima, perché non vogliamo rinunciare a questa realtà che si sta costituendo negli spazi liberati di via Irnerio. Individuare il piano del confronto nell’area del Mediterraneo, resistere e organizzarsi, non accettare la proposta di fuga in paradisi inesistenti: Noi Restiamo!

Cso TerzoPiano
Noi restiamo

Noi Restiamo

Dopo le giornate del 18 e 19 ottobre, la riappropriazione degli spazi è diventata finalmente protagonista per l’incontro di percorsi di lotta nell’intero paese. Partiamo da Bologna per la prima tappa della campagna nazionale NOI RESTIAMO, lanciata proprio in coincidenza della lunga settimana che ha preceduto lo sciopero del sindacalismo conflittuale e dei movimenti per l’abitare e la difesa dei territori. Tutto nella cornice della nuova occupazione abitativa di Via Irnerio 13/15.

Ci troviamo di fronte ad una situazione in cui ha rivelato il proprio ruolo da protagonista un blocco sociale che richiede risposte ad esigenze e bisogni legati alla durezza della quotidianità, a cui si impone l’esigenza di dare corpo e consapevolezza all’oggettività dei percorsi specifici che lo compongono, per creare una nuova forza di rivendicazione di modelli sociali e politici alternativi. Si rivela dunque indispensabile legare le pratiche e le parole d’ordine dei militanti all’analisi e all’organizzazione di tale settore, sempre più composito e variegato per estrazione, per incidere a fondo nelle contraddizioni che non solo hanno contribuito all’alimentarsi della crisi che stiamo attraversando, ma che sono connaturate nel modello stesso di gestione del potere politico quanto economico. Le lotte sul territorio, le lotte stesse delle famiglie e degli individui che si trovano sfrattati, pignorati o costretti alla rincorsa di un modello di realizzazione sociale escludente, possono provare ora ad elevarsi ad un piano di rivendicazione collettiva di diritti sociali il cui mancato rispetto è sempre più clamoroso. Tutto come elemento unificativo che può e deve ricomporre un’area antagonista che negli ultimi vent’anni ha latitato nel prospettare piani di alternativa credibili e ad ampio spettro, sopperendo a una lunga frammentazione di soggettività che vedono oggi la possibilità di incontrarsi sul terreno materiale.

Ma la dinamicità di ogni percorso di rivendicazione non può che venire sedata se si mette al palo quella fetta di popolazione che in prima persona scrive il futuro di cui sarà protagonista: i giovani. La disoccupazione giovanile ormai oltre il 40%, la diffusione della contrattazione atipica e irregolare, lo smantellamento del welfare, unitamente alla ristrutturazione del sistema universitario accelerata dalle pressioni dell’Unione Europea dentro la crisi, portano all’emersione di una migrazione sempre più massiccia dai paesi che hanno voluto chiamare Pigs ai paesi del Nord Europa. La caratteristica più evidente di questa “nuova migrazione europea” sta nel dato che ad emigrare non sono più solo giovani lavoratori non specializzati, ma anche studenti e neolaureati in cerca di un lavoro che possa essere congruo al percorso di studi da loro intrapreso.

Questi dati, e il dibattito che portiamo avanti da anni anche con altri soggetti attivi nel Mediterraneo, come i compagni baschi e greci, ci hanno portato allo sviluppo di una parola d’ordine che va in controtendenza rispetto alla moda di cercare altrove soluzioni individuali ad una crisi che, in quanto generale, necessita di risposte generali.

Ci siamo assunti la responsabilità di dire “Noi restiamo!”. Proponiamo quindi una discussione sull’arginamento del fenomeno emigratorio, che vada inserito ovunque, in ogni sede appropriata, sviluppando pensiero nuovo che ci permetta di resistere al “discorso del padrone” di stampo europeista, ricordandoci che dobbiamo affinare proposte culturali che sappiano contemporaneamente arginare l’avanzamento di visioni più provinciali, quando non esplicitamente reazionarie e razziste, che su questi stessi temi propongono il culto della famiglia, del gruppo, della nazione e delle sue identità e radici.

Perché lotta e coscienza si nutrano vicendevolmente, devono entrambe sedimentare se auspichiamo la loro generalizzazione. Noi restiamo, e nelle lotte quotidiane indicheremo a tutti questa necessità, come unica possibilità affinché una collezione di rivolte spontanee diventi fonte per un cambio di marcia, affinché un accumulo di eventi sporadici dia vita a forme organizzate del dissenso e della proposta di alternativa.

Il nuovo centro studio di Via Irnerio vuole essere l’intreccio tra questo piano generale e la vita reale dei soggetti che miriamo ad incontrare. Condividiamo da sempre il punto di vista di chi pone la riappropriazione degli spazi urbani come campo di battaglia per le nuove forme dell’organizzazione di classe dentro la metropoli. Ci inseriamo in quest’ottica proponendo la creazione autogestita di un’aula studio aperta fino all’1.00 di notte con cucina annessa, una biblioteca popolare, un atelier e relativo spazio espositivo, una foresteria studentesca, lanciando la palla a tutti quei soggetti che da anni in città si sono espressi su questo piano. In questa nuova occupazione abitativa pensiamo di poter trovare la cornice perfetta per un punto di incontro con una lotta di cui rivendichiamo pienamente pratiche e contenuti, proponendo discussione politica all’interno di un’embrionale confederalità sociale, e con la speranza di poter contribuire a darle anche maggior forza e slancio, in perfetta sintesi tra la zona universitaria e un centro cittadino tutto da riconquistare.

“NOI RESTIAMO”, come parola d’ordine per una campagna che sappia costruire una nuova prospettiva di futuro, che passa necessariamente attraverso l’accettazione del terreno e dei luoghi di conflitto senza cercare altrove paradisi che oggi non esistono.

PROSSIMI APPUNTAMENTI di fine ottobre

– Lunedì 28, ore 21.00, Vag61: “18-19 ottobre: la mobilitazione continua” Assemblea Cittadina promossa da ASIA e Unione Sindacale di Base, con Paolo di Vetta, dei Blocchi Precari Metropolitani romani

– Martedì 29, ore 17, occupazione abitativa di Via Irnerio 13-15: “C.s.o. TerzoPiano: noi restiamo!” prima Assemblea di autogestione del Centro Studio Occupato, aperta a tutti e tutte

– Mercoledì 30, ore 18.30, occupazione abitativa di Via Irnerio 13-15: “Aperitivo d’inaugurazione del C.s.o. TerzoPiano”

Centro Studio Occupato TerzoPiano