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Bologna. A proposito di feste, socialità, iniziative e sapere critico in università: postilla

La campagna Noi Restiamo vuole aggiungere una postilla agli attacchi della stampa cittadina della scorsa settimana volti a screditare i movimenti sociali e chiudere gli spazi di aggregazione universitari. A nostro parere si sta attuando un capovolgimento del reale, facendo passare la chiusura di questi spazi conquistati dagli studenti all’interno delle facoltà come un fattore democratico, che mira alla tutela dei cittadini.

Ci sentiamo di fare questa puntualizzazione per rispondere a un articolo in particolare, in cui si attacca la festa universitaria del 4 novembre in Strada Maggiore 45 e il “degrado” che ancora una volta ha caratterizzato quella zona.

Scriviamo queste poche righe perchè di degrado non si tratta, né di una festa universitaria qualsiasi: il CSO Terzopiano e la campagna Noi Restiamo si rivendicano l’organizzazione della festa antimilitarista del 4 novembre, proprio nel giorno dell’autocelebrazione delle forze armate, e che quest’anno coincide col centenario della grande guerra: una doppia ricorrenza che più macabra non si può proprio concepire, in cui si celebra la partecipazione al massacro di milioni di giovani, lavoratori, contadini sacrificati nello scontro per l’egemonia fra le potenze imperialiste e le loro borghesie nazionali. Alla festa del 4 novembre abbiamo legato inoltre un incontro intitolato “1914-2014: gli apprendisti stregoni dell’imperialismo portano di nuovo alla Guerra” svoltosi all’interno del CSO Terzopiano a cui ha partecipato anche Giorgio Gattei, docente di Storia dell’economia all’Unibo.

Consideriamo pertanto l’università un luogo libero e plurale, dove poter esprimere il dissenso, e ci opponiamo a un’idea di istituzione formativa che legittima e promuove l’individualismo. Lo sviluppo del pensiero critico dovrebbe essere una prerogativa dell’università.. e se questa non lo fa, continueremo a farlo noi.

Noi Restiamo

Bologna rinnova la sua avversione a Lega e altri fascisti

Per la mattina di sabato 8 novembre, il leghista Salvini ha annunciato la sua presenza, scortato da Casa Pound, nell’area abitata dalla comunità sinti in via Erbosa, nella prima periferia nord di Bologna. Tale attacco è stato preceduto da dichiarazioni pregne di xenofobia e razzismo, oltre che dall’ignobile ed offensivo gesto di invasione dell’area da parte della consigliera Borgonzoni. L’accordo di queste due forze politiche razziste e reazionarie si rinsalda quindi ulteriormente dopo la manifestazione del 18 ottobre a Milano, la quale ha dimostrato una rinnovata capacità di mobilitazione di piazza da parte di questi soggetti.

La campagna Noi Restiamo porterà il suo sostegno umano e politico in via Erbosa, assieme ai tanti compagni e alle tante compagne che hanno intenzione di costruire un’opposizione chiara  alla provocazione di fascisti e xenofobi. I quali, nei quartieri popolari come la Bolognina, cercano di allargare il proprio bacino elettorale e di militanza, ottenendo un preoccupante e pericoloso aumento del consenso, anche grazie alla sponda mediatica del principale quotidiano locale. Questi dati di partecipazione sono infatti da tempo un campanello d’allarme, che travalica i risultati delle ultime elezioni, quando in molti dichiaravano ormai conclusa l’ascesa della Lega Nord. Questa è ormai decisa a candidarsi come partito nazionalista sull’esempio del Front National della Le Pen in Francia.

La dinamica messa in piedi negli ultimi tempi dalla Lega, si alimenta di una ritrovata linfa grazie al discorso politico conservatore e antipopolare legittimato definitivamente dal governo Renzi e dall’attacco frontale che dal suo Pd viene condotto ormai spudoratamente contro i soggetti deboli di questa società e contro ogni forza organizzata che a suo modo tenti di frenarne l’onda d’urto. Enormi spazi si stanno aprendo a destra in conseguenza dell’operato della classe dirigente, e della sua rappresentazione politica, che attualmente controlla il paese. Da un lato, le forme e i modi agiti da questa forza politica che si candida ad essere Partito della Nazione, custode del “patto tra produttori”, sdoganano un vocabolario denso di contenuti reazionari, come preoccupantemente riconfermato dall’orazione che il primo ministro e il presidente della Confindustria hanno tessuto di un’inquietante retorica in una recente occasione pubblica a Brescia. Dall’altro lato, questo stesso vocabolario viene allora fieramente rivendicato da soggetti dichiaratamente fascisti, i quali ne fanno strumento per raccogliere consenso proprio tra coloro che vengono esclusi dai nuovi processi di accumulazione di ricchezza dentro la crisi che si fa sistema nel contesto della competizione globale. A questo punto diventa facile per l’estrema destra rilanciare l’accusa di “tradimento della patria e del suo popolo” proprio contro quello stesso governo che ha rilanciato queste categorie per dichiararsene difensore. I processi produttivi sono molto più concentrati, aggressivi e meno includenti di quanto le società europee non si siano abituate a vedere durante l’epoca d’oro del fordismo keynesiano e dei suoi lunghi strascichi. Pertanto, vecchi e nuovi fascisti, i quali oggi sono consapevoli delle difficoltà e delle lentezze che incontra il tentativo (assunto in Italia dal Pd) di rinsaldare gli interessi di una classe imprenditoriale di livello continentale, trovano terreno fertile per sferrare il loro attacco.

Salvini, di fronte a una destra istituzionale impantanata nel tentativo di reinventarsi un ruolo oltre le larghe intese, nelle quali il Pd copre uno spazio sempre maggiore anche da solo, da tempo ormai sta spogliando il suo partito della facciata di presentabilità che si era dovuto dare quando concorreva alle formazioni di governo. Sfodera così un nuovo slancio nella gestione del malumore diffuso in ampi strati di società, catalizzando intorno a sé le forze dichiaratamente fasciste, le proteste forcaiole e l’attenzione della destra populista attualmente indebolita, proponendo un’alleanza sociale e politica che risulterebbe fatale qualora dovesse dispiegare le sue reali possibilità nell’attuale contesto della crisi.

Al momento Bologna è già stato laboratorio quantomeno elettorale di questo tentativo. Esso deve essere prontamente rigettato da quella stessa composizione ampia di forze antifasciste, di lotte dei lavoratori, dei precari e dei migranti che hanno dato vita in queste settimane a momenti importanti in città così come in occasione della mobilitazione antifascista del 25 ottobre a Verona, il cui sindaco leghista e in odor di fascismo presenzierà giovedì 13 proprio in Palazzo d’Accursio ad un’assemblea convocata sui temi cari a questi soggetti.

Non aver paura di sporcarsi le mani affrontando i nodi politici della contemporaneità, riconoscere il ruolo dell’Unione Europea e dei suoi governi come soggetti politicamente caratterizzati per attaccare le fasce più deboli della società, costruire un’ipotesi credibile per uscire a sinistra da questa crisi che non vede la fine. E’ questo l’unico modo per contrastare realmente l’irresistibile ascesa che la propaganda reazionaria di vecchi e nuovi fascismi sta avendo anche tra settori di classe sempre più impauriti e lasciati a se stessi.

 

Noi Restiamo – Bologna

 

Buon esito delle giornate del 24 e del 25 ottobre

Una due giorni sicuramente positiva per la campagna “Noi Restiamo”: prima la partecipazione al riuscito sciopero dell’USB di venerdì 24, poi la “trasferta” di sabato a Verona per prendere parte alla manifestazione antifascista, che è riuscita a radunare centinaia di militanti antifascisti e antifasciste nel cuore nero d’Italia.

Lo sciopero di venerdì è riuscito a portare in 27 città italiane parole d’ordine oggi necessarie, confermando ancora una volta il ruolo dell’USB come sindacato conflittuale. La piattaforma rivendicativa, l’autonomia organizzativa delle strutture sindacali e la composizione della piazza, che vedeva partecipare anche precari, migranti e studenti, confermavano le ragioni della nostra adesione allo sciopero.
La manifestazione di sabato è riuscita, pur nelle ovvie difficoltà organizzative in un contesto difficile come quello veronese, a rilanciare un antifascismo e un antirazzismo militante che vada al di là degli slogan di facciata di partiti e associazioni, il cui antifascismo istituzionale ha mostrato più volte tutta la sua debolezza, come ad esempio di fronte alla determinazione del corteo di sabato 18 a Bologna.
Proseguire il percorso dell’antifascismo con la giornata di Verona ha rappresentato per noi un obiettivo molto più concreto rispetto al bagno di folla che si teneva intanto a Roma, momento celebrativo di un sindacato, la CGIL, da anni incapace di esprimere una vera conflittualità sociale che si opponga alle politiche classiste dei vari governi italiani succedutosi negli ultimi anni, caricata del compito di ingannare i suoi iscritti e farne convergere il dissenso politico verso binari morti.

Noi Restiamo

Un passo avanti – documento politico Noi Restiamo

In vista dell’assemblea pubblica indetta a Torino per domenica 19 ottobre, la campagna Noi Restiamo presenta il seguente documento politico.
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Uno sguardo sulla realtà

Un soggetto politico che oggi voglia incidere sullo scenario di classe non può in alcuna maniera evitare di confrontarsi con il tema dell’interconnessione tra la più grande crisi sistemica del capitale degli ultimi 80 anni e la costruzione, in itinere, del polo imperialista europeo. L’Unione Europea, in particolare attraverso l’Euro, è stata fin dalla sua creazione un formidabile strumento per la deflazione salariale, una politica fondamentale per il capitale in tempo di crisi, in quanto rilassa la pressione sui profitti. Tuttavia a partire dalla crisi del debito greco si è manifestato chiaramente come gli effetti della crisi non sarebbero stati uniformi all’interno dell’Eurozona. La ristrutturazione in atto del capitale europeo si gioca infatti su due livelli, un processo interno ad ogni singolo paese, ed un processo di ristrutturazione a livello macro-regionale. Mentre del primo parleremo più avanti, rispetto al secondo possiamo facilmente vedere la definizione di due regioni distinte. Emergono infatti un Centro, capitanato dal grande capitale tedesco, fondato su politiche Neo-Mercantiliste e caratterizzato da una produzione ad alto valore aggiunto, e, dall’altro lato, una Periferia, composta dai paesi dell’area mediterranea (i cosiddetti PIGS) ma anche dai paesi dell’est-Europa, a cui viene sostanzialmente attribuito il ruolo di “colonie interne”: sbocco per le merci e bacino di risorse, sia naturali sia (ed è questo il caso) di forza lavoro, per i paesi del Centro. È in quest’ottica che vanno lette le riforme imposte dalla Troika a Grecia, Spagna e Portogallo etc., come uno smantellamento della struttura produttiva locale finalizzata alla ristrutturazione regionale necessaria per la costruzione di un nuovo polo imperialista.

Collocare l’Italia all’interno di questa ristrutturazione regionale non è un compito facile: comunemente affiancata agli altri paesi dell’area mediterranea, i cosiddetti PIGS, l’Italia presenta però caratteristiche sostanzialmente differenti. Nonostante 20 anni di stagnazione, essa rimane la quarta economia in Europa e la nona nel mondo, nonché la seconda potenza industriale europea. Presenta caratteri di “arretratezza”, capitalisticamente parlando, rispetto ai paesi del nord (predominanza di piccole e medie imprese, imprenditoria “parassitica” e fortemente dipendente dal sostegno statale, elevati livelli di corruzione), ma non può certo considerarsi un pesce piccolo. Bisogna riflettere che nonostante l’”Austerity” sia da sei anni al centro del dibattito, sia istituzionale sia nella debole sinistra radicale, ancora non ha colpito l’Italia con la forza con cui lo ha fatto in altri paesi. Certo, abbiamo avuto la nostra dose di massacro sociale, ma non è (ancora) paragonabile con quello che è stato fatto in Grecia, o in Portogallo. La spada di Damocle del Fiscal Compact (che dovrebbe entrare in vigore a gennaio) è sempre lì, ma ad oggi la classe dirigente italiana sembra schierarsi compatta per una messa in discussione delle linee guida per il futuro, dichiarandosi a parole contro l’austerità. Confindustria, CGIL, PD, persino Giorgio Napolitano, che in questi anni è stato il garante delle riforme volute da Bruxelles, si sono infatti tutti espressi in maniera critica al riguardo.

Per capire il senso di tutto ciò bisogna tenere conto che “Austerity” è in realtà un concetto spurio, che comprende almeno tre processi ben distinti tra loro, e che sono la declinazione viva delle forme attualmente possibili per la ristrutturazione del capitalismo continentale di cui parlavamo:

  • Austerity nella cornice della ristrutturazione del sistema produttivo di un paese: le politiche che rispondono a questa funzione sono quelle che vanno ad intaccare la struttura produttiva stessa di un paese nei suoi elementi più essenziali, ovvero le riforme del mercato del lavoro e lo smantellamento del sistema produttivo statale (privatizzazioni).

Da notare però che il processo di ristrutturazione del sistema produttivo non passa soltanto attraverso questi canali: abbiamo anche processi di mercato, come la concentrazione di capitale derivante dalle migliaia di fallimenti, o altri tipi di politiche pubbliche, come il sostegno alle esportazioni, politiche industriali ed energetiche…

  • Austerity finalizzata alla rinegoziazione dei rapporti di forza interni: avvantaggiandosi di una fase recessiva il capitale cerca di riprendersi parte del plusvalore di cui la classe lavoratrice si era appropriata attraverso le lotte di redistribuzione. Assistiamo quindi a tagli a tutte le forme di salario indiretto e differito, e quindi gli attacchi a sanità, istruzione, pensioni, assistenza. Questo tipo di politiche sono comuni in tempo di crisi, in cui la disoccupazione aumenta e il potere contrattuale della classe lavoratrice diminuisce. Sono oggi infatti una costante tra tutti i paesi occidentali, in cui viene poco a poco smantellato il welfare state costruito nella seconda metà del Novecento. La costruzione dello stato sociale fu d’altronde il frutto di un preciso momento storico: una rinnovata combattività dei lavoratori all’interno della struttura produttiva fordista e la presenza di un’alternativa reale al consolidato blocco occidentale erano i due pilastri che, nel disegno degli ordinamenti costituzionali spinti dalle guerre di liberazione dal nazifascismo, hanno reso possibile l’attuazione di politiche dall’impianto keynesiano oggi incoerenti nella cornice delle istituzioni comunitarie.

Anche qui, bisogna notare che la rinegoziazione dei rapporti di forza interni non passa soltanto attraverso politiche statali (quale è appunto l’austerity): l’aumento della disoccupazione e l’indebolimento delle organizzazioni di classe comportano uno spostamento di potere a favore dell’impresa in ogni singolo posto di lavoro. Inoltre bisogna tenere conto dei conflitti all’interno della stessa classe dirigente: piccole imprese contro grandi imprese, capitale industriale contro capitale finanziario, riposizionamento di vari settori della produzione derivanti dai nuovi assetti del commercio internazionale. In fondo, quest’ultimo aspetto è forse l’unico elemento reale che abbia recentemente segnato la scena istituzionale italiana, nel passaggio di governo avvenuto nel 2011.

  • Austerity legata a rapporti di forza internazionali: le “riforme” che hanno questa funzione sono solitamente le più pesanti. Prevedono politiche già nominate nei primi due punti, ma con una magnitudine significativamente maggiore: violenti tagli alla spesa pubblica, liberalizzazioni selvagge, svendita di patrimonio statale per far cassa, licenziamenti di massa di lavoratori del pubblico impiego. L’austerity di questo tipo è quella imposta dall’FMI a molti paesi del terzo mondo durante gli anni ’70-’80, ed ovviamente si annoverano in questa categoria le politiche imposte ai paesi della Periferia europea, all’interno di quel processo di ristrutturazione macro-regionale di cui sopra. È significativo notare la differenza con i primi due punti: la distinzione è data dalla violenza con cui vengono adottate queste misure, che arrivano a smantellare la struttura sociale stessa di un paese ad un livello tale che il capitale locale non oserebbe mai (non perché il capitale nazionale sia caratterizzato da maggior senso dell’etica, ma semplicemente perché non ha alcun interesse alla completa distruzione del paese in cui opera)

Ovviamente, i tre processi precedenti, in cui si inseriscono i diversi profili dell’Austerity, sono strettamente legati fra loro: non vi può essere una ristrutturazione del sistema produttivo senza una rinegoziazione dei rapporti di forza, e i rapporti di forza internazionali influiscono in maniera significativa anche su quelli interni.

Tuttavia può essere utile tenere i concetti distinti. Ad esempio per rispondere a chi dice che la Germania abbia iniziato le politiche di austerità già dall’inizio degli anni 2000, e che questo l’abbia trovata meglio preparata alla crisi. Tuttavia il tipo di politiche intraprese possono essere viste come un anticipo sulla ristrutturazione del sistema produttivo: precarizzazione del mondo del lavoro, tagli ai salari per stimolare la competitività, una politica quasi Neo-Mercantilista fondata sulle esportazioni. L’austerity che è stata imposta ai paesi della periferia europea va però anche ben oltre.

Capire quindi se l’Italia si candidi ad essere “l’ultima tra i primi” piuttosto che “la prima fra gli ultimi”, e come questo si relazionerà con gli interessi delle altre grandi economie europee, diventa fondamentale per leggere e magari prevedere le politiche che ci verranno imposte, e per immaginare quindi strumenti specifici adeguati ad aprire una breccia politica difronte a scenari ben determinati.

Il processo di ristrutturazione del capitale italiano non si sta dimostrando morbido con le classi popolari, ma i suoi effetti, anche a causa del cuscinetto garantito dal risparmio privato, sono al momento più subdoli, e riconoscibili maggiormente nel lungo periodo. Limitarsi però ad una critica dell’austerity senza inquadrarla all’interno di un contesto complessivo, comprendendo la fase storica e osservando le tendenze anche di medio e lungo periodo, rischierebbe invece di diventare un boomerang per qualsiasi progetto antagonista. Significherebbe infatti accettare di non elaborare una propria strategia realmente autonoma, che non sia quindi alla mercé degli interessi del capitale, e implicherebbe l’accettazione del rischio di correre molto senza avanzare di un millimetro, qualora gli scenari assumessero contorni che non siano stati tempestivamente considerati. Questo è particolarmente vero in un periodo, come questo che stiamo vivendo, che vede pesanti smottamenti nella situazione geopolitica internazionale, con focolai di guerra che appaiono a distanza sempre più ravvicinata e sempre più vicini a noi. Qualora la situazione degenerasse ulteriormente, lo scenario in cui ci si troverebbe ad operare sarebbe completamente diverso. Sono queste ragioni che ci spingono a ribadire una volta in più la necessità di considerare gli avvenimenti nel loro dispiegamento a 360 gradi attorno a noi. O ci arrendiamo all’idea che la partecipazione politica delle fasce popolari subisca l’egemonia delle retroguardie nazionaliste e reazionarie, che cercano di riaffermare le proprie istanze in un momento storico in cui le frazioni di borghesia transnazionale detengono le redini del comando e producono accelerazioni (anche violente) che non controlliamo, o apriamo spazi di confronto a sinistra che sappiano individuare le forme che si sta dando l’attacco di classe dall’alto nel contesto dell’accentramento del potere in Europa durante la crisi. La soluzione non sta né nel tornare indietro né nell’andare avanti, ma nel cambiare strada e uscire dal sistema capitalista!

La politica che vogliamo agire

Come nodi locali della campagna nazionale Noi Restiamo abbiamo assunto la consapevolezza collettiva che sarebbe velleitario avviare un percorso solitario per cercare di comprendere questi problemi complessi, e per darvi risposte credibili. E’ quindi secondo un processo del tutto conseguente che siamo naturalmente approdati alla scelta di dover agire all’interno di un’area politica in cui si mettono a confronto soggettività diverse, le quali trovano qui la possibilità di interagire organicamente a seconda delle proprie specifiche funzioni. Questa consapevolezza ci deriva anche dalla valutazione delle due grandi mancanze con cui un movimento di classe deve confrontarsi oggi alle nostre latitudini: l’impossibilità oggettiva di un’ipotesi rivoluzionaria nel medio periodo e l’assenza di un’organizzazione che sappia farsi portavoce di tale ipotesi. In Italia inoltre, caso unico nel Mediterraneo, abbiamo finora assistito a una certa latenza di spinte dal basso in risposta all’attacco che stiamo subendo. Certo, nonostante questa evidenza, di fronte alla quale non possiamo mancare di notare nuovamente motivazioni tanto di carattere oggettivo quanto soggettive, dobbiamo sottolineare che esistono possibili punti di accumulazione per un’opposizione sociale, alla quale comunque bisogna riconoscere di aver manifestato momenti di effervescenza, seppur sporadici. Nell’anno trascorso un blocco sociale ha iniziato a dare segnale della presa di coscienza di sé, ma gli avanzamenti politici, pur presenti, si sono dimostrati difficili da realizzare e ancora deboli nella forma che hanno assunto. Si delineano così i confini dell’azione possibile oggi per la campagna Noi Restiamo. La mancanza di una soggettività che sappia raccogliere e rilanciare omogeneamente i rari momenti di contrapposizione allo scenario che ci viene imposto, unitamente alla complessità degli eventi dei quali abbiamo tentato di dare una veloce mappatura, rende superfluo per una singola realtà con le nostre caratteristiche immaginare di coprire tutti gli ambiti possibili. Se non vogliamo però rinunciare al contributo che pure crediamo di poter dare, risulta per noi necessario trovare punti di ulteriore sintesi con i soggetti con cui ci siamo confrontati finora, sul piano strategico, sindacale e della rappresentanza politica, operando congiuntamente all’interno di un’area comune.

In quest’ottica, la scelta di concentrarsi sul mondo giovanile non va quindi interpretata come individuazione della “scintilla rivoluzionaria” all’interno di tale contesto. È da intendere piuttosto come apertura di spazi realmente praticabili su un pezzo di società inserito in una cornice segnata da un passaggio storico, nel quale il progetto generale si integra appunto con l’esclusione sempre più evidente di un segmento generazionale. Da qui deriva la nostra concentrazione sulla polarizzazione tra Centro e Periferia all’interno del mondo della formazione, universitario e di preparazione al mercato del lavoro. Assistiamo alla valorizzazione di pochi poli formativi di eccellenza e allo smantellamento, attraverso tagli e soppressioni di interi percorsi, di un’istruzione di qualità nell’Europa mediterranea e orientale. Questa tendenza spinge migliaia di giovani ad emigrare proprio al Centro: più che una fuga un “furto di cervelli”, perfettamente coerente con le dinamiche neo-coloniali di cui si parlava sopra. Uno scenario in cui il nostro paese è tanto terra di emigrazione quanto di immigrazione, anche studentesca, sottolineandone ulteriormente il carattere ambiguo assunto finora nel posizionamento internazionale.

Sono questi, insomma, anni in cui le nuovi generazioni sono profondamente colpite, tanto nell’immediato quanto in prospettiva, dalla crisi e dalle dinamiche di ristrutturazione che questa ha messo in moto. I processi di riforma del mercato del lavoro prevedono in molti casi modelli contrattuali a tutele crescenti, in modo tale da realizzare una eterogeneità tale da fiaccare le forze di un eventuale scontro sociale. La disoccupazione giovanile nel frattempo sfiora il 45%, una statistica conservativa in quanto tiene conto soltanto di chi sta attivamente cercando lavoro, trascurando chi vi ha rinunciato. Di fronte a questi numeri, mentre il sotto-inquadramento diventa uno standard e scompaiono le occupazioni da classe media, un giovane si trova ad essere spinto ad emigrare se vuole avere maggiori possibilità di assunzione (sorvolando sull’assenza di garanzie e di assistenza). Il mito della fuga all’estero diventa effimero e fugace per chi, lì come a casa, troverà presto condizioni di lavoro precario, subalterno, mal retribuito, con diritti messi sistematicamente sotto attacco dalla crisi. Si crea inoltre un’evidente e ulteriore spaccatura, questa volta con i coetanei più fortunati, i quali volendo perfezionare i propri studi possono cogliere la mobilità internazionale come possibilità di associarsi all’élite tecnica e intellettuale che sorregge l’impalcatura europea, in una competizione individualista che raramente vede protagonista la tanto decantata meritocrazia.

Un tipo sociale, quello giovanile, che si mostra quindi in seria difficoltà, ma non facile da intercettare. L’assenza di un’ipotesi di cambiamento profondo e immediato, infatti, preclude un’attività puramente politica con una buona parte di questi soggetti, primi tra tutti i disoccupati. Una volta di più allora risulta imperativo cogliere la possibilità di muoversi in sinergia con gli attori più incisivi oggi sul piano della resistenza e della conflittualità dal basso, anche approfondendo ulteriormente quei percorsi di confederalità sociale sperimentati finora. Inoltre, crediamo che negli spazi politici che la nostra campagna potrà e dovrà continuare ad aprire nel mondo giovanile, potrebbe subentrare in seconda battuta una figura come quella sindacale per portare avanti campagne più puramente rivendicative. Significa questo concentrare invece i nostri sforzi sulla costruzione di immaginario, sul senso di appartenenza a una comunità di destino, sulla delineazione di un futuro alternativo.

Evidentemente l’intera filiera della formazione (dalle scuole secondarie all’università, dai tirocini ai corsi professionalizzanti) presenta le caratteristiche del terreno su cui provare ad operare. Un punto di smistamento fatale tra i pochi che si affacciano al mondo del lavoro direttamente dalle cabine di regia e i molti che si preparano ad esserne carne da macello. Un luogo nel quale rafforzare un senso di comunità difficile da riscontrare in altri ambiti del mondo giovanile, e dal quale rilanciare le sorti di un senso di appartenenza di classe ormai raro a qualunque livello sociale (se si esclude proprio quella classe dirigente che ha raramente avuto così chiari i propri obiettivi comuni). È a partire da qui che dobbiamo dunque tentare anche una battaglia culturale che sappia aggredire il “discorso del padrone”. Un discorso che porta con sé le nefaste conseguenze dell’impotenza e della depressione nel contesto di un’atomizzazione sociale sempre più diffusa, colonne portanti del processo di depoliticizzazione atto a garantire il mantenimento dello stato di cose presenti. Sono questi i connotati del mondo in cui ci imbattiamo nelle nostre lotte quotidiane, e di fronte ai quali dobbiamo saper trovare gli strumenti migliori per farvi fronte e per superarli, entusiasmati dalle possibilità messe in campo dai cambiamenti in atto e dall’apertura (anche geografica) degli spazi politici per noi oggi possibili!

Noi Restiamo

Contro ogni intimidazione, antifascismo militante!

Apprendiamo con rabbia quanto accaduto nella notte di sabato 4 ottobre a Fano (PU) allo Spazio Autogestito Grizzly: un gruppo di fascisti è riuscito ad entrare nello spazio, approfittando del favore della notte (e quando potrebbero avere tanto coraggio, se non quando sono certi che nessuno li possa vedere?), si sono introdotti nello spazio devastandolo, distruggendo l’impianto idraulico e quello elettrico e dando fuoco ai libri della biblioteca autogestita. Il tutto è stato rivendicato con svastiche e croci celtiche sui muri.

I servi dei padroni vengono puntualmente sguinzagliati contro chiunque si adoperi in prima persona per criticare e combattere questo sistema che ci vorrebbe tutti quanti schiavi a capo chino, vivendo una vita priva di dignità e libertà.

Per questo esprimiamo tutta la nostra solidarietà e vicinanza ai compagni e alle compagne del Grizzly, consapevoli che non possono essere 4 ratti fascisti a fermare chi lotta per un mondo più giusto; chi subisce questi attacchi vigliacchi non può che gioirne in quanto sono la dimostrazione della bontà delle proprie azioni.

Solidali con chi lotta per cambiare
Noi Restiamo

Dai luoghi di studio e di lavoro contro Jobs Act e repressione

Attaccati nei luoghi di formazione: ieri per le strade assieme ad Hobo, al fianco di Loris. Attaccati sul posto di lavoro: oggi torniamo a prendere parola contro il Jobs Act.

Nella giornata di ieri, a partire dalle manganellate dopo lo sgombero del Community Center in via Filippo Re e continuando con le botte e i blitz polizieschi in rettorato, siamo stati costretti ad assistere a uno scenario di aggressione capestra al quale rettore, cda dell’Unibo e le cerchie conniventi della classe dirigente e dell’amminsitrazione locali targate PD vorrebbero abituarci. Ma non smetteremo di rivendicare il nostro diritto alla città, la nostra opposizione a un progetto di presunta normalizzazione della società accelerato dalla crisi, in cui chi può ha tutto e gli altri dovrebbero azzuffarsi tra loro. Ieri invece a Bologna in tanti abbiamo dimostrato che la testa la alziamo, sì, ma contro chi pretende di comandarci, che quel progetto non potranno praticarlo sulla pelle nostra e di tutti coloro che sapranno immaginare un futuro alternativo agli interessi di una politica asservita al capitale in crisi. Un punto di partenza per tutto questo è consolidare e rilanciare l’autonoma agibilità politica di quei settori sociali che subiscono l’attacco dall’alto, creando massa critica intorno ai punti di accumulo esistenti.

Non permetteremo quindi che la componente giovanile sia azzittita o peggio cacciata dalla zona universitaria di cui dovrebbe essere protagonista, per questo saremo sempre al fianco di tutte le realtà, i collettivi e i laboratori politici colpiti dalla repressione. Per questo siamo stati al fianco di HOBO e Loris durante tutta la giornata di ieri, perchè si sappia forte e chiaro che se toccano uno toccano tutti!

Oggi pomeriggio torniamo per le strade contro il JOBS ACT, con un presidio in piazza XX settembre a partire dalle 17, che rilanci a 360 gradi un’opposizione giovanile al fianco del sidacalismo conflittuale.

Servi nei luoghi di formazione e schiavi sul mondo del lavoro: questo è il futuro che qualcuno si sta immaginando per i giovani delle aree deboli di questo continente, ma noi abbiamo altri piani in testa, e in giornate come quella di ieri e di oggi vogliamo rilanciarli a testa alta!

Noi restiamo

La piazza di Bologna rifiuta le provocazioni e l’odio leghista

 

Questa mattina, gli occupanti organizzati con Asia-USB in presidio davenerdì mattina all’interno di palazzo d’Accursio per chiedere alle istituzionicittadine il riallaccio delle utenze nelle occupazioni di via Toscana e via XXIaprile, si sono trovati in pessima compagnia. Infatti, i maggiori esponentidella Lega Nord bolognese hanno avuto la trovata di piazzare un gazebo davantiall’ingresso del Comune di Bologna, ed esporre uno striscione: “Acer: prima lanostra gente”. Presenti Facci, Scarano e Bernardini, che da facebook pontifica: “liberiamo il Comune, Bologna ai bolognesi”…

La rispostadegli occupanti non si è certo fatta attendere: il gazebo è stato accerchiatodagli striscioni e dalle bandiere degli attivisti per il diritto all’abitare, ein breve tempo sono accorsi compagne e compagni della maggior parte dellerealtà politiche e sociali antagoniste bolognesi a portare la loro solidarietàattiva.

Il messaggioè risuonato forte e chiaro, scandito dal megafono: nessuno spazio per fascistie razzisti, nessun dialogo con chi fomenta la guerra tra poveri, nessunacollaborazione con chi disprezza la diversità e cavalca il malcontento socialemontante per diffondere l’odio razziale. Nessun rispetto verso chi sfrutta ildramma di centinaia di famiglie, il dramma di non avere un posto in cuidormire, per meri fini propagandistici ed elettorali.

Davanti aPalazzo d’Accursio è stato ribadito più volte da oltre duecento persone:migranti, studenti, militanti politici e sindacali, occupanti, ma anchecittadini comuni, anziani e turisti che, incuriositi dall’assembramento, sisono avvicinati a solidarizzare con la causa degli occupanti.

E a dirlatutta, nel momento in cui è stato chiaro che la piazza bolognese, per una voltasveglia e attiva in quello che è stato a tratti un dibattito collettivo,rifiutava il messaggio di odio e paura proposto a suon di insulti e grida, gliesponenti del partito hanno cambiato faccia, chiedendo proprio dialogo ecollaborazione.

Quel chehanno richiesto tutto a un tratto agli attivisti è stato un “franco confrontotra realtà politiche all’opposizione”…

Come se chilotta per un diritto che non ha nazionalità né etnia potesse discutere davantia una tazza di tè con chi pratica discriminazione e lucro.

Nessunospazio dunque, a chi ha votato la legge Bossi-Fini, a chi ha istituito queilager di stato che si chiamano CIE, a chi chiede di “sparare a vista” contro ibarconi.

Una voltaresisi conto che il loro teatrino non sarebbe potuto andare in scena, visti inumeri soverchianti e la ferma volontà delle compagne e dei compagni presentidi non cadere nelle loro infantili provocazioni, Bernardini e soci hanno pensatodi accettare (dopo qualche insistenza) il consiglio rivolto loro dalla piazza.Così, dopo circa tre ore di fronteggiamento, scortati da Digos, polizia ecelere, hanno smobilitato il gazebo e se ne sono andati, questa voltasconsolati per non aver potuto esibire ai Bolognesi il loro repertorio xenofoboe fascistoide.

Accompagnati,e non è uno scherzo, dalla trotterellante banda della festa dei bersaglieri inpiazza Maggiore.

 

 

NOI RESTIAMO,28/9/2014

La tendopoli a Palazzo d’Accursio e il diritto ad esistere

In questi giorni, insieme ad ASIA-USB, prendiamo parte allabattaglia campale che si sta tenendo dentro il cortile di Palazzo d’Accursio,sede del comune, per la difesa di un diritto fondamentale: quello alla casa.

La chiamiamo battaglia, sebbene prenda la forma di una“semplice” tendopoli, perché dimostra come esista ancora una parte dellapopolazione, per quanto denigrata, sfruttata, sfrattata, disposta a mettere daparte le proprie paure, i ricatti sociali, e trovare la forza di agire. Trovarela forza di piantare le tende (letteralmente) nella sede dell’autorità locale enon spostarsi finchè non vi saranno soluzioni vere, pratiche all’emergenza incui sempre più persone si trovano.

L’obiettivo principale è semplice, riottenere l’allacciodelle utenze nelle occupazioni di via Toscana (ex scuole Ferrari) e via 21Aprile (Centro d’Accoglienza Autogestito “Lampedusa”).

Questo non soltanto per riconquistare una condizione di vitadignitosa per la quale non basta un tetto improvvisato sopra la testa, ma ancheperché il taglio delle utenze, così come il rifiuto che gli occupanti subisconodi vedersi riconoscere una residenza hanno una fonte comune: l’applicazione delPiano Casa.

Vivendo in anni in cui il patrimonio pubblico viene svendutoa tutto spiano a enti privati, semiprivati o cooperative e la stessaprivatizzazione stanno subendo tutti i principali servizi al cittadino (scuola,sanità…), mentre si abbassano tragicamente i salari e le garanzie sul lavoro(il Jobs Act sarà la ghigliottina finale in questo campo) è normale che lagente non sappia davvero più come fare per affrontare affitti e mutui semprepiù alti.

Per tutte queste persone le istituzioni non hanno soluzioni,l’edilizia popolare e il modo in cui viene gestita non è sufficiente, identicodiscorso per dormitori e affini, piccole toppe che non bastano più ad arginareun’emergenza dilagante.

Tuttavia, nello stesso tempo le città pullulano di edificivuoti, lasciati in rovina a causa di una mala gestione del patrimonio o moltopiù spesso di volontà speculativa, e allora sembrerebbe facile individuare lasoluzione in questi edifici.

Tuttavia, la strada del recupero, del riuso e dellasolidarietà sono sempre osteggiate da istituzioni che si fanno portavoce ecomplici degli interessi di palazzinari, grandi proprietari, per cui ilprofitto viene molto prima delle vite di un pugno di pezzenti.

Dunque non rimane altra strada, per dare un segnale forte atali poteri e alla cittadinanza, che appropriarsi di tali stabili, restituirglinuova vita e renderli una casa. Il decreto legge di Lupi, in particolare l’art5, è finalizzato a rendere impossibile la vita di chi con coraggio compiequesta scelta, impedendo di allacciare utenze e ottenere la residenza, fonte dimolti diritti primari come il voto, l’assistenza sanitaria, l’iscrizione ascuola e la cittadinanza.

Se privare della residenza è anticostituzionale (perapprofondire leggere http://asia.usb.it/index.php?id=20&tx_ttnews[tt_news]=72247&cHash=9f935ee7f8&MP=63-875)privare delle utenze è semplicemente barbaro, un vero attacco incivile. Perquesto riallacciare le utenze tagliate nelle occupazioni non è soltanto unapiccola conquista, è il segnale che non è possibile applicare norme che ledonola vita della popolazione, e che il solo possibile cambiamento passa perl’attenzione alle condizioni reali della popolazione e per una diversa gestione– pubblica – dei beni e delle risorse.

Inoltre, la nostra è una vera battaglia anche perché è incontrotendenza rispetto alla vita individualista e basata sui propri interessiche rappresenta il modello attuale, creando una dimensione di comunità, diunità, una babele solidale fatta di uomini e donne che al di là di sesso, età,provenienza e religione si ricordano che l’unico modo per costruire un futuromigliore è lottare per esso, e che da soli alla fine si può solo arrendersi, otentare di nascondersi.

Per questo, invitiamo tutti e tutte a venire a trovarci, apartecipare per un po’ con noi a quella che è una lotta di tutti, aperta atutti, per una città migliore e per una vita degna in cui non sia tutto nellemani di pochi.
Noi Restiamo, 27/9/2014

Contro lo stato di apartheid israeliano e i suoi fiancheggiatori! Tutt* a Roma il 27 settembre!

Oggi, a Bologna, si è svolto un presidio davanti alla prefettura in solidarietà alla manifestazione nazionale indetta a Capo Frasca (OR) contro il campo di addestramento militare che il Ministero della Difesa ha dato in concessione all’esercito israeliano per un ciclo di esercitazioni dei caccia F15 ed F16. Quegli stessi caccia che, in questi mesi, hanno causato oltre 2100 morti e più di 11000 feriti nella Striscia di Gaza. Quegli stessi caccia che hanno distrutto scuole, ospedali e infrastrutture, nell’assordante silenzio dell’ONU e della cosiddetta “comunità internazionale”, sempre prodiga di ammonimenti verso le violenze e i soprusi dello stato sionista, ma totalmente priva della volontà politica di fermarne l’operato.
L’Italia, in particolare, è il primo fornitore europeo di armi ad Israele e nel 2005 ha firmato con questo Paese un accordo di cooperazione che riguarda l’interscambio di armamenti, la formazione e l’addestramento di personale e la ricerca e lo sviluppo in campo militare.
Contro la politica militarista e colonialista dello stato israeliano, contro la sudditanza che mostrano il nostro e tutti i governi occidentali verso questo stato, per l’autodeterminazione del popolo palestinese e solidali con la sua giusta lotta, invitiamo quindi tutti e tutte a partecipare, il 18 settembre dalle ore 19, all’assemblea pubblica che si svolgerà al CSO TerzoPiano (via Irnerio 13), dove verrà presentato un reportage dai compagni di ritorno dalla Cisgiordania, in sostegno alla manifestazione nazionale del 27 settembre a Roma indetta dalla comunità palestinese in Italia.
NOI RESTIAMO

13/09/2014

“PAROLE VUOTE E SOLUZIONI CONCRETE”!

Oggi si è svolto un presidio indetto da ASIA-USB sotto la sede del comune in piazza maggiore. Ci limiteremo a condividere il comunicato stilato dopo il presidio:

Bologna 08/09/2014

L’incontro avvenuto oggi al tavolo per le “Politiche per l’abitare  e l’emergenza 
abitativa” tra la Federazione USB Bologna, ASIA e i rappresentati 
dell’ Amministrazione 
Comunale, presente l’Ass. Malagoli , ci lascia ancora una volta insoddisfatti.
Le linee di intrevento con cui l’amministrazione intenderebbe risolvere le 
problematiche abitative che riguardano migliaia di lavoratori sono la solita 
“Minestra riscaldata “ , con l’aggiunta di acqua.

20140908_09402220140908_094127Riproporre  il modello del “Protocollo 
Antisfratto” che in 3 anni ha risolto 
130 situazioni, a fronte di 4500 
sfratti nella sola città di Bologna, 
non fa che aumentare la nostra tesi 
sul metodo fallimentare che la giunta 
vuole riproporre in versione più 
allungata ma ugualmente fallimentare.
Notiamo , inoltre, che anche nel 
documento che la Giunta ha messo in 
discussione (ma il Sindaco ha già 
enunciato) la divergenza che corre 
tra la nostra Organizzazione e 
l’Amministrazione Comunale è ampia.
Da mesi ormai proponiamo - blocco 
degli  sfratti, requisizione degli 
alloggi sfitti, legalizzazione delle 
occupazioni abitative.
Continueremo la nostra lotta, che è 
la lotta di chi, privato della 
dignità, subisce le conseguenze del 
reazionario Piano casa di Renzi. 
Di tutto questo nell’incontro non si 
è parlato, argomenti di cui ci 
saremmo aspettati, 
pur nelle dovute divergenze, l’apertura di un dialogo , abbiamo dovuto invece 
ascoltare ancora una volta solo parole.
Vediamo invece una netta presa di distanza dalle occupazioni per poi proporre le 
soluzioni che quelle occupazioni hanno di fatto portato alla luce, quando tutta 
l’amministrazione comunale  faceva finta che quei problemi non esistessero.
Rilanciamo dunque l’attività che Asia porta avanti da anni, quella dei presidi 
contro gli sfratti, delle occupazioni e dell’organizzazione dell’inquilinato e 
della popolazione senza casa, consapevoli che in una società in cui si pretende 
di fare politica unicamente con vuote parole è l’unico modo per scuotere le 
coscienze. Coscienze a tal punto addormentate da non riconoscere la spirale in 
cui questa crisi, generata e alimentata dai governi che si sono succeduti fino a 
quello attuale, lascia sprofondare la popolazione, smantellando gradualmente tutto 
il sistema di welfare pubblico e appaltandolo a privati. Questo modello di 
gestione criminale, che passa a Bologna per la svendita del patrimonio immobiliare 
pubblico e l’affidamento della gestione di diverse case Acer a enti privati.
E’ chiaro che in questo modo si aprono spazi giganteschi per la speculazione e 
l’abuso delle risorse, ma dopotutto è proprio questo il solco tracciato dal Piano 
Casa.
Per questo, continueremo a riempire le piazze di alternativa sociale, solidarietà,
rabbia ma anche speranza, in una lotta che non si arresta.